domenica 3 marzo 2013

LA VILLA ROMANA DI TOSCOLANO

Là dove sorge la chiesa parrocchiale di Toscolano, sotto l’uliveto ed il gran parcheggio che la separa dalla vicina cartiera, giace un patrimonio archeologico di primaria importanza per la storia della presenza romana sul Benaco.
            Il 1° febbraio 1967, durante i lavori di scavo per la posa della fognatura, quasi al confine con la vasta area occupata dalla cartiera, sono venuti alla luce i ruderi di una parte della villa romana, (di cui si sapeva l’esistenza) con i pavimenti ricoperti di pregevoli mosaici.
            In seguito all’intervento della Sovrintendenza alle Belle Arti fu promossa, di conseguenza, un’ulteriore ma modesta campagna di scavi, trovando i resti d’altre stanze, nuovi mosaici ed anche monete dell’epoca romana. La zona fu cintata e protetta da una semplice copertura al fine di evitare l’intrusione da parte d’estranei e, nel frattempo, consentire agli interessati un rapido sguardo su una parentesi di storia.
            Numerosi autori, da Marin  Sanuto nel 1483 a Pompilio Bonvicini nel 1959 hanno parlato di questa villa. Si è soffermato anche, particolarmente, il Dr. Claudio Fossati che nel 1893 pubblicò un interessante volumetto con il titolo “Una villa romana a Toscolano”.
            Da questi studi si deduce che la villa fu costruita intorno al I° secolo d.C. da Publio Nonio Asprenate, primo console e nonno di Arria, sulla terra che Augusto gli regalò per riconoscenza dei servizi resi nella difesa del Reno contro i Germani. Questa famiglia immigrò da Roma e, in pochi decenni, accumulò ingenti possedimenti non solo in provincia di Brescia, ma anche nelle valli trentine.
            Potente e ricca la famiglia dei Nonii Arrii ebbe grande influenza nella vita di Brescia; a lei si deve, infatti, il Foro Romano, la Curia e forse lo stesso tempio Vespasiano.
            E’ grande la curiosità di sapere come fosse questa sontuosa residenza, ma è molto difficile descriverla sulla base dei frammenti sparsi in tanti luoghi diversi.
            Non rimane che affidarsi alla lettura del libro del Fossati: “La villa era babilonese per vastità ed imponenza, per le sue selve di torri, di templi, di arditi manufatti, di acquedotti, di giardini, di fontane, di circhi, di campi di gioco e ippodromi.” Acquedotti e fontane erano alimentati dalla vicina fonte di Pulciano. L’ingresso doveva essere tra la strada del porto ed il giardino del settecentesco palazzo della famiglia Comincioli, unito all’ex setificio con un cavalcavia fino ad alcuni decenni fa. Prima si passava a fianco del tempio di Giove (dove è sorta l’attuale chiesa della Madonna del Benaco) poi a quello di Bacco (sul quale è poi sorta la parrocchiale). S’incontrava il “cavedio” o cortile con loggia dove oggi si estende l’orto della canonica; seguiva un grande “peristilio” o portico a colonne che giungeva fin dove si trova ora la cartiera e “l’oecus” o stanza di riposo dei proprietari. Oltre si stendevano grandi giardini con costruzioni, monumenti e campi da gioco che occupavano una buona parte del promontorio fino alla località “Bersaglio”.
            La villa, grandiosa e spaziosa, era rivolta verso il monte Baldo, con terrazze sul lago, bastioni di difesa a monte e diverse torri.
            Fra le pietre ritrovate e murate nel campanile è di particolare importanza un’architrave di porta di marmo fine di Luni, con scolpita la scritta “AUGUSTIS LARIBUS” proveniente dal tempio dedicato ai Lari d’Augusto, dei tutelari della famiglia, ai quali erano eretti altari per invocarne la protezione. Questo edificio, collocato all’inizio della Via del porto, risale forse al periodo di Settimio Severo (193-211 d.C.)
            Inoltre furono ritrovate lapidi nella primitiva parrocchiale sorta sulle rovine del tempio di Bacco, delle quali una buona parte è esposta nel Museo Lapidario di Verona. Va ricordata quella raccolta nel 1745 dall’archeologo marchese Scipione Maffei e dedicata ad Arria della stirpe etrusca degli Arrii, dal marito Marco Nonio Macrino (proprietario della dimora) ed anche del “Vicus Macrinus” (da cui il toponimo della frazione di Maclino), membro della Tribù Fabia alla quale nel 27 a.C. era stato assegnato il territorio bresciano. Arria era soggetta a frequenti malori tanto che corse serio pericolo di vita. Da Brescia, sua prima  residenza, il marito la mandò a Toscolano per respirare l’aria del Benaco e poi dedicò una statua ed eresse un tempietto agli dei per “gratitudine d’averla rimessa in salute”.
Altri reperti sono due colonne rabberciate poste all’ingresso della chiesa parrocchiale di Toscolano, alcuni capitelli murati nelle pareti della chiesa antica dedicata alla Madonna del Benaco, un frammento di marmo bianco con fascia orizzontale, la bellissima bifora con colonna di marmo rosso di Verona e un capitello pre-romanico.
            Per quanto riguarda i resti venuti alla luce nel 1967, ed attualmente protetti da una semplice copertura, è interessante notare che al centro del mosaico, parzialmente danneggiato, si trova  una svastica . Anticamente si trattava di un simbolo sacro dei buddisti, che è frequentemente riportato sugli oggetti d’arte d’età preistorica e storica in Asia e in Europa; molto verosimilmente vuol rappresentare il sole in movimento secondo i culti solari primitivi. Successivamente divenne un semplice e comune motivo di decorazione, oppure, si dice anche, uno scongiuro contro il malocchio.
            Recentemente, nei primi giorni dell’ottobre 2000, durante alcuni lavori, a circa un centinaio di metri dal primo rinvenimento, sono stati trovati altri resti bellissimi di un mosaico appartenente alla villa romana. Secondo l’archeologo Angelo Ghiroldi, le figure ed il cromatismo molto accentuato, sono tipici del IV° e V° secolo d.C. e quindi dovrebbero risalire agli ultimi anni di vita dell’edificio. A suo avviso questa scoperta ha riportato alla luce la “Tricora”, una stanza a tre absidi, forse la sala da pranzo, collocata nella zona residenziale. Questo confermerebbe l’ipotesi della sua notevole dimensione.
            Nell’IV secolo d.C. la stirpe dei Nonii-Arrii si estinse: le loro ingenti proprietà passarono nel demanio prima dei Goti, poi dei Longobardi ed, infine, dei Franchi. Carlo Magno e, successivamente, Ludovico il Pio le ridistribuì a Vescovi e monaci quale premio e riconoscimento del grande aiuto dato dal clero nella guerra contro i Longobardi.
            Le corti vescovili della Riviera ricevettero così non pochi terreni. La corte di Maderno e Toscolano fu particolarmente ricompensata tanto da divenire il più gran feudo della regione. Ciò valse al vescovo di Brescia il titolo di “Marchese della Riviera” che fu ufficialmente riconosciuto dall’Imperatore Federico III° d’Asburgo a Domenico De Dominicis nel 1464. Il titolo nobiliare si mantenne fino alla caduta di Venezia nel 1797.


Fin qui notizie indicate dallo storico locale Notaio Claudio Fossati e raccolte in loco. Riporto ora una trascrizione integrale dei pannelli esposti presso l’Antiquarium delle Grotte di Catullo di Sirmione redatti dalla Sovrintendenza che descrivono altre ville romane del Garda, tra le quali quella di Toscolano.

“Le prime notizie di rinvenimenti archeologici nell’area della villa romana di Toscolano risalgono ai secoli XV e XVI e quasi tutti gli autori, riferendosi ad alcune iscrizioni con dediche dei Benacenses, ricondussero le strutture allora messe in luce ad una leggendaria città di Benàco. A fine’800 uno studioso locale, Claudio Fossati, eseguì degli scavi nell’area tra le chiese dei SS.Pietro e Paolo e di Santa Maria di Benàco a nord e l’attuale cartiera a sud. Egli fu il primo a riferire i resti individuati ad una grande villa romana della prima età imperiale e ad ipotizzare che potesse essere appartenuta alla famiglia bresciana dei  Nonii Arri.
         Nel 1967, durante i lavori per la posa di servizi fognari a nord dell’ingresso della Cartiera, vennero individuati e parzialmente distrutti tratti di muri  affrescati e pavimenti a mosaico. In seguito furono avviati lavori di scavo archeologico che portarono alla luce il cosìdetto Settore A:
         Negli anni 1995/98 indagini eseguite più a nord nell’area dell’antica casa colonica della Prebenda hanno messo in evidenza 1200 mq. della pars urbana (settore B). In particolare è stata individuata una parte del giardino prospiciente il lago con un enorme bacino-fontana (mt.50 x6 circa)con i lati scanditi da nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari e servito da canalizzazioni in pietra. Il collegamento con l’abitazione era dato da un lungo porticato che immetteva in una serie di ambienti, tra i quali un vano absidato con al centro una piccola fontana ottagonale rivestita in marmo. Nella stessa zona è stata accertata la presenza di tracce di un edificio più antico presumibilmente di età augusto-tiberiana, le cui murature vennero rasate fino al livello delle fondazioni.”

         “Le strutture dell’edificio romano le cui diverse fasi costruttive sembrano databili  tra la prima metà del I ed il IV-inizio V secolo d.C, si estendevano lungo la riva del lago, in direzione nord-sud per almeno 200 metri. Mentre non è noto  il loro limite occidentale. L’ampiezza del complesso, che verosimilmente seguiva l’andamento del terreno degradante verso il lago, doveva essere notevole (oltre 15.000 metri quadrati) e certo paragonabile a quella delle altri grandi ville gardesane. Attualmente l’area è ancora per buona parte interrata o occupata dalle chiese dei SS. Pietro e Paolo e S. Maria del Benàco con annessi edifici, e perciò risulta difficile definire la planimetria dell’intero complesso.
         Del settore meridionale (Settore A) sono stati messi in luce almeno 18 vani, dei quali solo 8 scavati totalmente o in buona parte. Uno di questi è un lungo corridoio che conserva ampie tracce di pitture parietali di un certo pregio. A nord di esso si aprono, tra gli altri, 3 ambienti pavimentali a mosaico e sulle cui pareti sono leggibili resti di affreschi con motivi “a finto marmo”.
 Il grande utilizzo di pietre e marmi bianchi e colorati nella costruzione della villa è testimoniato oltre che dalle numerose lastre per rivestimenti pavimentati e parietali, dalla presenza di vasche rivestite di marmo bianco nel settore termale  dell’area sud, dal ritrovamento di una piccola fontana ottagonale, pure lastricata, nell’area nord (Settore B) e di frammenti di un labrum dubitativamente collegabile al grande bacino-fontana, nonché di frammenti di colonne (due delle quali riutilizzate nella facciata della chiesa dei SS. Pietro e Paolo e di numerose cornici architettoniche).
         La villa di Toscolano era dotata di un lussuoso apparato decorativo. Tutti gli ambienti residenziali dovevano avere le pareti decorate di affreschi a vivaci colori, come è testimoniato dalle tracce sui resti di muri e da moltissimi frammenti raccolti durante gli scavi. L’assemblaggio di alcuni di questi ha permesso di proporre una ricostruzione dei motivi presenti sulle pareti del lungo corridoio del settore A. Oltre agli intonaci dipinti, grande importanza dovette avere anche l’utilizzo di marmi e pietre colorate, Le testimonianze rimaste, sia sotto forma di mosaici che di numerosissimi frammenti di lastre di pavimentazione e da rivestimento parietale, ce ne forniscono oggi un’idea comunque molto riduttiva.
         I mosaici  conservati in sito, prevalentemente a motivi geometrici, sono per lo più rappresentativi nella villa, sono per lo più in bianco e nero con qualche concessione alle sfumature del marrone e del bruno-arancio.
A pavimenti di piastrelle marmoree (sectilia) presumibilmente riservati ai vani più rappresentativi della villa, sono attribuibili con sicurezza soltanto pochi elementi distinguibili, per le forme geometriche regolari (triangoli, esagoni ,rettangoli) e l’assenza di fori per le grappe metalliche di fissaggio, dalle crustae dei rivestimenti litici parietali. Tra questi ultimi sono riconoscibili listelli, cornici, un piccolo capitello di lesena e un consistente gruppo di elementi in pietra bianca riferibili ad uno stesso pannello decorativo.”

“La probabile provenienza dall’area della villa di un’iscrizione dedicata da M. Nonio Macrino, console nel 154 d. C, “Agli Dei conservatori per la salute della sua Arria”, fece proporre la famiglia dei Nonii Arri fra i proprietari dell’edificio.
Al proposito è da sottolineare, tra i frammenti di laterizi bollati L.AR.TER. solitamente letto L(ucius) Ar(renius)Ter(tius), parente delle sopracitata Arria - che trasmise il suo nome come gentilizio ai propri discendenti – e fratello in onore dei due L. Arrius Primus e L. Arrius Secundus attestatia a Brescia nel II secolo d. C. Anche il ritrovamento a Toscolano e nel suo territorio di quattro dediche al culto imperiale da parte dei Benacenses, interpretati come i clientes locali dei Nonii più che come una popolazione dei dintorni del lago, potrebbe essere considerato testimonianza di questa famiglia della zona."




                                                                                           Andrea De Rossi


Ricostruzione ideale della Villa Romana di Fausto De Rossi

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