sabato 3 marzo 2018

UN PICCOLO RICORDO PERSONALE DELL'ULTIMA GUERRA


Il palazzo della Società Montecatini di Milano bombardato dagli aerei dopo il febbraio 1943


Sono nato nel 1925 ed ho sempre vissuto a Maderno sul Garda. In quel tempo, avevo da pochi mesi compiuto i 17 anni, ero impiegato presso la Montecatini-Duco di Milano e ad ogni fine settimana ritornavo a casa con il treno ed il battello, non solo per ritrovare la mia famiglia, ma anche per fare la scorta di viveri, dato che quello che passava la mensa era limitatissimo. Il ritorno a Milano avveniva la domenica pomeriggio. Con il battello arrivavo a Desenzano e, per giungere alla stazione ferroviaria, c’era, quando era possibile salirci, una piccola e sgangherata corriera che funzionava a carbonella la quale, a fatica nella ripida salita, riusciva ad arrivare alla stazione ferroviaria.
            La sera del 14 febbraio 1943, come di frequente accadeva, il treno proveniente da Venezia giunse con un’ora di ritardo. Era così affollato di gente che l’unica possibilità di salirci sopra era quella di introdursi attraverso i finestrini come spesso capitava.  Giungemmo a Brescia alle ore 22,30 e nella nostra carrozza, dove ci trovavamo già pressati uno contro l’altro come tante acciughe, riuscirono ad introdursi altre quattro persone. Da loro apprendemmo che da un quarto d’ora era suonato l’allarme aereo. Con ripetuti sforzi della locomotiva, dato il forte carico, il treno riuscì ad avviarsi verso Milano. Dopo alcuni chilometri, un soldato che si trovava inchiodato contro un finestrino ci disse che in direzione di Milano si vedevano scoppi d’artiglieria antiaerea. Man mano che il treno proseguiva verso il capoluogo lombardo, ci rendemmo conto che si trattava di un grande attacco aereo. Dopo molti sforzi e gomitate riuscii a giungere vicino al finestrino in modo da poter vedere ciò che stava accadendo. Nel cielo si osservavano numerosi scoppi di artiglieria antiaerea che si accendevano a forma di piccoli globi per spegnersi subito. Quello che più impressionava erano i numerosissimi razzi illuminanti che venivano lanciati dagli aerei. Ci fu poi un momento di stasi quando giungemmo nei pressi di Rovato, ma poi tutto d’un tratto riprese con più violenza. Evidentemente si trattava di un’altra ondata d’aerei giunti sulla città. Alla stazione di Rovato il treno si fermò ed i passeggeri, che erano pigiati negli scompartimenti, ne approfittarono per scendere sul marciapiede sia per vedere lo spettacolo che per sgranchirsi e per .respirare un po’ d’aria. Dopo circa mezz’ora la locomotiva lanciò un fischio per avvertire che il treno era in partenza. Naturalmente ci volle un bel po’ di tempo per riuscire a starci tutti.
            Il viaggio proseguì e, dopo Chiari, la sparatoria cominciò a diminuire fino a cessare completamente. Erano le 23,30. Giunti a Treviglio venimmo a conoscenza che c’era ancora l’allarme aereo ma che l’attacco su Milano era terminato. Pensammo perciò di poter giungere presto alla stazione centrale. Dopo Melzo e precisamente a Pioltello il treno si fermò nuovamente, poi retrocesse un po’. Solo dopo la partenza ci fu detto che le carrozze erano state poste su un binario morto, mentre la locomotiva era andata avanti per verificare le condizioni della linea ferroviaria.
            Passarono alcune ore prima che il treno ripartisse. Io avevo solo un piede appoggiato a terra così come lo aveva una signora di fronte a me. Decidemmo, a turno, di occupare con l’altro piede l’unico spazio libero disponibile. Dato che l’attesa si faceva lunga e che eravamo a meno di otto chilometri da Milano, nonostante il freddo, molti viaggiatori cominciarono a scendere ed avviarsi a piedi verso la periferia della città. Fu allora che potei  finalmente scendere a terra. Uno spettacolo impressionante mi si presentò davanti agli occhi. In tutte le direzioni si vedevano grossi incendi che illuminavano il cielo. Dalla stazione di Pioltello non ci furono comunicate notizie circa la situazione ferroviaria perché tutte le linee telefoniche erano interrotte. Ci assicurarono poi che saremmo partiti per Milano solo verso le dieci del mattino. Invece, dopo tre ore di sosta, il capotreno ci avvertì della partenza. Infatti alle tre e mezza il treno si mise in moto. Giunti alla periferia di Milano cominciammo a vedere da entrambi i lati della linea ferroviaria, numerosi e grossi incendi. Dal finestrino vedemmo che tutti i fili aerei della linea erano a terra spezzati e contorti. Alla stazione di Lambrate il treno si fermò ancora e ci misero su un binario morto. Numerose persone ne aproffittarono per scendere ed incamminarsi verso le loro abitazioni. Scesi anch’io ma per sedermi su una panchina ad osservare un incendio che divampava poco distante. Dopo un po’ giunsero i Vigili del Fuoco gettando sul rogo fiumi d’acqua, sollevando fiamme color bianco. Alle sette non erano ancora riusciti a domarlo.
            In seguito allo sfollamento di numerosi viaggiatori, verso le sei, riuscii  a trovare uno scompartimento quasi vuoto e potei riposarmi. Alle sette il treno si mise in moto e raggiunse, con molte difficoltà, la stazione centrale mezz'ora dopo.
            Appena sceso a terra mi si presentò uno spettacolo sconvolgente. La stazione era stata colpita da numerosi spezzoni incendiari, ma non da bombe dirompenti. Per giungere a piedi alla mia abitazione situata in Via della Moscova, dovetti attraversare numerosi rioni devastati dalle bombe. Naturalmente i tram non funzionavano perché buona parte delle strade era intransitabile a causa delle macerie delle case colpite. Incendi divampavano ancora in numerose case. La manifattura tabacchi di Via Moscova era stata colpita in pieno ed una grossa nube con fumo acre si espandeva nei dintorni togliendo perfino il respiro. Fortunatamente la casa in cui ero alloggiato era rimasta intatta, quindi potei finalmente riposare un po’.
            A quelle condizioni era divenuto impossibile e pericoloso rimanere in città, per cui la settimana stessa presentai le dimissioni ed all’inizio del mese di marzo abbandonai definitivamente Milano per ritornare a Maderno,