mercoledì 21 agosto 2013

BACHI DA SETA E PIANTE DI GELSO















Fino ai primi decenni del secolo scorso nei campi oltre agli olivi e alla la vite erano coltivati pure i gelsi che si potevano trovare anche sul suolo pubblico.
            Dall’archivio com.le di Maderno risulta, infatti, che la raccolta delle foglie dei tre grandi gelsi che si trovavano in Piazza, di quelli vicino alla chiesa Parrocchiale, del “Rivellino” e del “Crocefisso” (quest’ultimi sul lungolago), era data in appalto.
            E' noto che le foglie di quest’albero servivano ad alimentare le larve dei bachi da seta che erano allevati da numerose famiglie contadine per incrementare le loro scarse disponibilità economiche.
            Si trattava di un lavoro che richiedeva sacrificio, non solo per gli uomini ma anche per le donne, perché l’allevamento dei bachi da seta avveniva in casa, in ambienti caldi  dove esisteva una stufa a legna od il focolare, nella maggior parte dei casi corrispondeva alla cucina.
            Gli uomini erano impegnati continuamente alla raccolta delle foglie di gelso per stare al passo con la voracità dei bruchi. Quando poi le foglie erano bagnate, prima di darle in pasto ai bachi, dovevano essere adeguatamente asciugate per evitare che questi animali fossero attaccati da una particolare malattia, il calcino, dovuto ad un fungo parassita.
            Dopo aver acquistato le uova (che erano vendute ad once) bisognava tenerle in luoghi caldi per far nascere la larva ed in seguito deporle sugli “arèi”. Appena nate dovevano essere nutrite con foglie di gelso triturate, poi quando erano un po’cresciute, con foglie intere. Mangiavano per otto giorni consecutivi e poi dormivano per 24 ore. In questo periodo, chiamato “la prima muta”, i bachi cambiavano la “camicia”, cioè si spogliavano della prima pelle, come fanno i serpenti. Dopo il risveglio della “prima muta” dovevano essere nutriti ancora per otto giorni e, al termine, andavano nella “seconda muta” e così per quattro volte consecutive. Quando i bruchi diventavano gialli e dalla loro bocca fuoriusciva il filo di seta, si dovevano mettere “al bosco”. Si trattava di mettere sugli “arèi” dei rami o delle fascine di legna minuta per dar loro la possibilità di iniziare a costruire la “galèta”, vale a dire il bozzolo dal quale si ricavava la seta. Nel bozzolo, la larva subisce la metamorfosi in crisalide e poi in quella d’insetto perfetto (la farfalla). I bozzoli erano poi staccati dai rami e pronti per la vendita.
            Parte dei bozzoli era destinato alla produzione della seta, mentre l’altra parte serviva per la semenza. Quest’ultimi erano pesati per dividere il maschio dalla femmina (le femmine erano più leggere dei maschi). Una volta bucato il bozzolo, dallo stesso usciva  il bruco trasformato in “farfalla” che si accoppiava. La femmina, rinchiusa in un sacchetto, vi deponeva le uova e si trasformava poi in “bigàcc” che era dato in pasto agli animali da cortile. L’anno successivo le uova deposte si trasformavano in bachi ed il processo ricominciava da capo.
            A Maderno, nell’attuale Via Montana, esisteva un luogo chiamato ancora adesso “ il galetèr” dove si raccoglievano i bozzoli prodotti localmente che erano poi inviati nei centri appositi per ricavarne la seta, mentre in Via Aquilani dove ora si trova l’Albergo Golfo, dopo la metà dell’800, Erculiano Veronese installò un importante filatoio di “galete” con 16 fornelli e 37 dipendenti. L’attività di questo filatoio cessò verso la fine dell’800 quando lo stabile fu acquistato dal Generale Lamberti di Castelletto per adibirlo a sua residenza, dopo aver fatto notevoli modifiche ed aggiunte.
            Questo è ciò che accadeva fin verso la metà del secolo scorso, gli ultimi anni in cui furono allevati i bachi da seta, Prima ancora, però, nella case erano molto diffusi i fornelli per filare le galète e produrre la prima seta grezza che, per antica tradizione, era venduta alla Fiera di S.Pietro a Toscolano il 29 giugno. In quel tempo esistevano in diversi filatoi, posti in ambienti tutt’altro che confortevoli, che assorbivano giovane manodopera femminile.
                                                                                                                          Andrea De Rossi

BIBLIOGRAFIA: Periodico gargnanese “En Piasa”- Inverno 1999

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