Prima di parlare del poeta tedesco Paul Heyse,
cerchiamo di ricostruire la storia di questa antica locanda che lo ospitò nel
1870.
Per
chi non lo sapesse l’antica locanda del “Cavallo Bianco”, ora abitazione
civile, era situata a Toscolano in Via Trento,31, di fronte all’ex Caffè Bonizzoli e locanda
La Fiorita.(ora DEC arredamenti) Da quando iniziò la sua attività “Il Cavallo Bianco” cambiò più volte nome. Non
è dato sapere invece, la data in cui venne aperto.
Da una documentazione in mio possesso risulta
che già nel 1873 lo scrittore Enea Bignami nella descrizione del suo “Giro
intorno al Lago di Garda” ebbe occasione di citare la locanda “Cavallo Bianco”
di Toscolano, che gli era stata particolarmente raccomandata da amici.
La rivista “Il Garda” del 1890 pubblica
notizia che la stessa fu riaperta (probabilmente restò chiusa per alcuni anni)
il 1 Febbraio 1890 con la nuova insegna del “Gambero”. Verso la fine dell'Ottocento
e fino ai primi del Novecento riprese il suo nome originario di “Cavallo Bianco”
. Nel 1903,
Micheletti, nella sua Guida “Al Garda” lo cita così: “… un buono e civile albergo del “Cavallo Bianco”, detto Candita, con
illuminazione elettrica…”. Nella
pubblicità si cita il proprietario dell’epoca: Maceri Giovanni. Infine, nel
primo decennio di questo secolo, fu definitivamente chiamata “Cavallino Bianco”
fino al 1967, data in cui chiuse definitivamente i battenti.
Ritorniamo
ora a Paul Heyse, il famoso poeta e prosatore tedesco, Premio Nobel per la
letteratura e profondo conoscitore dell’Italia, oltre che traduttore di poeti
italiani, nato a Berlino nel 1830 e morto a Monaco nel 1914. Dal 1901 al 1910
soggiornò sul Garda e precisamente a Gardone Riviera, nella Villa Fritzsche
(ora chiamata Itolanda). La villa che si trova fra il Casinò e l’Albergo
Fiordaliso, fu da lui acquistata nel 1899 e dedicata alla moglie Annina.. E’
qui che scrisse le sue “Novellen von Gardasee” (Novelle del Garda - tradotte in
italiano da Silvia Faini). La stessa villa fu anche la dimora, di Vittorio
Mussolini e della sua famiglia, durante
il periodo della Repubblica Sociale. In una di queste novelle descrive il breve
soggiorno a Toscolano presso la locanda del “Cavallo Bianco”, diversi anni
prima di acquistare la villa a Gardone, luogo che un suo amico gli aveva
raccomandato unitamente alla locanda “Cavallo Bianco”, a motivo della pulizia e
del prezzo modico.
“…Nel limpido sole autunnale del 3 ottobre ero
arrivato con l’imbarcazione proveniente da Desenzano, passando davanti a Salò e
Gardone Riviera, allora ancora sconosciuto e alla ridente Maderno…” così
descrive il suo arrivo per la prima volta sul Garda. Sceso dal natante a
Maderno, raggiunse Toscolano attraverso un viale d’allori e successivamente,
nell’unico vicolo esistente senza sole, tanto da provarne una sgradevole sensazione
che gli fece pentire di non aver seguito la prima impressione ed essere rimasto
a Maderno. La cordiale accoglienza del gestore della locanda, al quale presentò
subito i saluti del vecchio amico ospite, gli fece cambiare opinione.
Secondo Heyse la casa in cui soggiornava non si
trovava in posizione solatia, ed assomigliava più ad una locanda con stallaggio
(era effettivamente una locanda con stallo) che ad un albergo. E così continua:
”…e anche l’unica stanza, saltuariamente
occupata da qualche straniero di passaggio e che era servita per l’appunto al
mio amico, era solo un grande locale spoglio, dipinto di bianco, senz’altra
mobilia che l’ampio letto di ferro dalle grezze lenzuola immacolate, una sedia
di paglia, un lavabo su un sostegno di ferro e un tavolinetto traballante.
Alcuni ganci e chiodi alla porta facevano le veci dell’armadio e del cassettone...”.
Nonostante ciò ritenne che si poteva considerare una stanza allegra perché
dall’unica finestra che dava sul cortile interno, si poteva ammirare un
giardino ancora fiorito di dalie e di rose, chiuso in fondo da una serra colma
di limoni.
Familiarizzò
subito con la moglie ed il figlio del locandiere. Il giorno successivo, di buon
mattino, scese nell’uliveto dove, secondo la tradizione, doveva trovarsi
l'antico “Benacus” e da lì uno scenario di luci e colori gli si presentò di fronte,
con lo sfondo del Monte Baldo.
Quando
verso mezzogiorno ritornò alla locanda, dalla porta della cucina gli venne
incontro il gestore il quale aveva su ogni mano un pezzo di carne cruda con
l’intenzione di chiedergli quali delle due qualità avesse preferito gustare:
quella di manzo o quella d’agnello. Con la stessa disinvoltura, riguardo al
pranzo, si comportò anche nei giorni successivi. Ma il poeta era talmente
attratto dall’arte e dalla bellezza dei luoghi, che molto raramente si occupava
del suo nutrimento, tanto da non saper affermare se la cucina corrispondeva
alle sue aspettative.
Poco
distante vi era l’unico caffè del paese, quindi il mattino successivo pensò di
fare colazione proprio lì in quanto, secondo l’abitudine italiana, non era
possibile consumarla nell’albergo in cui si era alloggiati.
“LUIGI CARAMELLA, CAFE’ E LIQUORI”
questa era la scritta che spiccava all’esterno dell’esercizio. Dalla finestra
della stanza in cui era alloggiato, la sera prima aveva notato che davanti
all’ingresso del caffè vi era una piccola schiera di notabili del luogo che
fumavano e sorseggiavano diverse bevande di vari colori, impegnati in un’animata discussione della
quale però il poeta non riuscì a capire una sillaba perché, afferma, lì anche
il Parroco ed il Maestro usavano esclusivamente il dialetto locale.
Quando
verso le dieci gli ospiti se ne andarono, l’oste prese un mandolino e
accompagnò alcune canzonette popolari cantandole nel più puro dialetto
napoletano.
Il
mattino seguente il poeta decise di entrare nel caffè, e. Giggi Caramella si
presentò subito al nuovo ospite come un autentico napoletano, nato nel cuore di
Santa Lucia. Era un tipo snello, bruno scuro, con occhi di fuoco che facevano capire
tutta la sua scaltrezza e malizia, molto diverso – afferma Paul Heyse – dai
visi lombardi con cui era abituato a convivere.
Naturalmente
l’oste raccontò all’ospite tutta la sua vita: era giunto a Genova per svolgere
affari per conto del fratello maggiore che possedeva grandi vigneti a Posilippo
e quindi per commerciare il suo vino. In seguito ad una gita sul lago di Garda
si era trasferito a Toscolano e poichè il padrone del caffè era deceduto, aveva
pensato di subentrargli, non tanto per gli ospiti del locale con i quali non c’era
molto da guadagnare, ma per fissare quassù una base per lo smercio del “suo”
vino. Sempre secondo l’oste napoletano, il “vino del Vesuvio” presto era
diventato popolare in loco. Dopo queste descrizioni così colorite il poeta fu
tentato di gustarlo anche perché al “Cavallo Bianco” non è che si parlasse
molto bene di lui ed in più ai clienti veniva somministrato solo il proprio
vino che era acidulo.
Finite
le presentazioni Paul Heyse si rivolse
all’oste per ottenere un caffè, motivo per il quale aveva deciso di recarsi in
quel locale. Dopo alcune tergiversazioni che non gli piacquero molto all’ospite
ed una lunga attesa, l’oste gli portò una mistura torbida e densa in un piccolo
bricco storto di stagno con dei pezzettini polverosi di zucchero e un panino
non certo fresco vicino ad una tazza un po’ sciupata. Se l’ospite desiderava
del latte, affermò l’oste, lo avrebbe mandato a prendere perché i suoi clienti
bevevano solo caffè nero e preferivano, piuttosto, bibite, vino, liquori ed
acqua gazzosa.
Dopo
questa prima esperienza Paul Heyse pensò bene di rinunciare a far colazione in
questo caffè e presso la locanda in cui soggiornava, si fece preparare nei
giorni seguenti qualcosa che assomigliasse ad un caffèlatte.
Quanto
descritto dal poeta sono solo piccoli particolari inerenti il suo soggiorno a
Toscolano. Il suo interesse principale fu soprattutto la natura che lo
circondava. Non vi fu colle o fattoria solitaria nel raggio fra Montemaderno e
la bianca chiesetta di Gaino che esaminasse con curiosità di artista in cerca
di motivi pittorici, tanto che in quei giorni riempì il suo album di “…paesaggetti con ornamenti…”.
Nei
vigneti e negli uliveti vedeva gli uomini svolgere il loro lavoro senza canti e
suoni. Non c’era molta allegria nel paese, se si escludono le risate di Giggi
Caramella. Si vedevano solo espressioni serie e tristi, perfino fra le ragazze
e i bambini. Il poeta venne poi a sapere dal locandiere la ragione di quello
stato d’animo spento e triste. Gli ultimi tre anni erano state annate cattive
per il vino e per le olive. Così alcuni erano stati costretti a cercare lavoro
nelle fabbriche di carta, nella gola del fiume Toscolano, “…lavoro che veniva mal pagato e che rendeva
gli uomini, immagine di Dio, delle macchine...”
Quanti
- afferma il poeta - “…a causa sua si
erano rovinati corpo e anima solo per far arricchire i proprietari…” E
perché tanto bisogno di carta? Di libri ce n’erano già abbastanza nel mondo ed
i giornali raccontavano solo menzogne. Se non ci fosse stata la carta il
cittadino non sarebbe stato inquietato dai bollettini delle imposte. La carta,
conclude il poeta, “…era dunque
un’invenzione del diavolo e il Santo Padre a Roma avrebbe dovuta proibirla
a tutti i buoni cristiani…”,
dimenticandosi però, di rilevare che lui
stesso ne faceva un ampio uso per la sua attività.
Concludendo
questa sua novella Paul Heyse racconta che dopo più di un quarto di secolo
ritornò con la moglie a Salò e non mancò di fare una capatina a Toscolano per
rivedere il suo “Cavallo Bianco” che era divenuto “Cavallino Bianco”. Seppe che
da allora la pensione era passata in tre mani. L’attuale locandiera, essendo del
posto, raccontò tutte le notizie riguardanti i precedenti proprietari ed altri
personaggi che aveva conosciuto nella
sua breve permanenza. Il caffettiere Giggi Caramella, pieno di debiti fino al
collo, se ne dovette scappare lasciando sola la sua Adele con una bimba
piccola.
Fin
qui la descrizione del poeta.
Per
quanto riguarda il Caffè del Caramella ritengo che non possa essere che quello
ubicato a piano terra dell’edificio posto a sinistra dell’ingresso in Via
Cartiere, l’unica strada che un tempo conduceva all’interno della valle, dove
attualmente si trova una parrucchiera (a 50 metri in via d’aria dal giardino
interno della locanda ”Cavallo Bianco”). Nello stesso locale, diverse decine di
anni fa, vi era l’Ufficio del Dazio.
Nella
mia collezione ho la preziosa fotografia ingiallita dal tempo qui sotto
riprodotta, risalente circa alla fine
dell’800 che mostra il locale sopracitato con una nuova scritta all’ingresso:
AL TICINO – LIQUORI – VINO. Senza dubbio
è lo stesso locale in cui s’installò Giggi Caramella, cambiandone però
l’insegna.
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