mercoledì 18 settembre 2013

PAUL HEYSE OSPITE AL "CAVALLO BIANCO"



Prima di parlare del poeta tedesco Paul Heyse, cerchiamo di ricostruire la storia di questa antica locanda che lo ospitò nel 1870.
            Per chi non lo sapesse l’antica locanda del “Cavallo Bianco”, ora abitazione civile, era situata a Toscolano in Via Trento,31, di fronte all’ex Caffè Bonizzoli e locanda La Fiorita.(ora DEC arredamenti) Da quando iniziò la sua attività  “Il Cavallo Bianco” cambiò più volte nome. Non è dato sapere invece, la data in cui venne aperto.
 Da una documentazione in mio possesso risulta che già nel 1873 lo scrittore Enea Bignami nella descrizione del suo “Giro intorno al Lago di Garda” ebbe occasione di citare la locanda “Cavallo Bianco” di Toscolano, che gli era stata particolarmente raccomandata da amici.
 La rivista “Il Garda” del 1890 pubblica notizia che la stessa fu riaperta (probabilmente restò chiusa per alcuni anni) il 1 Febbraio 1890 con la nuova insegna del “Gambero”. Verso la fine dell'Ottocento e fino ai primi del Novecento riprese il suo nome originario di “Cavallo Bianco”
. Nel 1903, Micheletti, nella sua Guida “Al Garda” lo cita così: “… un buono e civile albergo del “Cavallo Bianco”, detto Candita, con illuminazione elettrica…”.  Nella pubblicità si cita il proprietario dell’epoca: Maceri Giovanni. Infine, nel primo decennio di questo secolo, fu definitivamente chiamata “Cavallino Bianco” fino al 1967, data in cui chiuse definitivamente i battenti.
            Ritorniamo ora a Paul Heyse, il famoso poeta e prosatore tedesco, Premio Nobel per la letteratura e profondo conoscitore dell’Italia, oltre che traduttore di poeti italiani, nato a Berlino nel 1830 e morto a Monaco nel 1914. Dal 1901 al 1910 soggiornò sul Garda e precisamente a Gardone Riviera, nella Villa Fritzsche (ora chiamata Itolanda). La villa che si trova fra il Casinò e l’Albergo Fiordaliso, fu da lui acquistata nel 1899 e dedicata alla moglie Annina.. E’ qui che scrisse le sue “Novellen von Gardasee” (Novelle del Garda - tradotte in italiano da Silvia Faini). La stessa villa fu anche la dimora, di Vittorio Mussolini e della  sua famiglia, durante il periodo della Repubblica Sociale. In una di queste novelle descrive il breve soggiorno a Toscolano presso la locanda del “Cavallo Bianco”, diversi anni prima di acquistare la villa a Gardone, luogo che un suo amico gli aveva raccomandato unitamente alla locanda “Cavallo Bianco”, a motivo della pulizia e del prezzo modico.
            “…Nel limpido sole autunnale del 3 ottobre ero arrivato con l’imbarcazione proveniente da Desenzano, passando davanti a Salò e Gardone Riviera, allora ancora sconosciuto e alla ridente Maderno…” così descrive il suo arrivo per la prima volta sul Garda. Sceso dal natante a Maderno, raggiunse Toscolano attraverso un viale d’allori e successivamente, nell’unico vicolo esistente senza sole, tanto da provarne una sgradevole sensazione che gli fece pentire di non aver seguito la prima impressione ed essere rimasto a Maderno. La cordiale accoglienza del gestore della locanda, al quale presentò subito i saluti del vecchio amico ospite, gli fece cambiare opinione.
Secondo Heyse la casa in cui soggiornava non si trovava in posizione solatia, ed assomigliava più ad una locanda con stallaggio (era effettivamente una locanda con stallo) che ad un albergo. E così continua: ”…e anche l’unica stanza, saltuariamente occupata da qualche straniero di passaggio e che era servita per l’appunto al mio amico, era solo un grande locale spoglio, dipinto di bianco, senz’altra mobilia che l’ampio letto di ferro dalle grezze lenzuola immacolate, una sedia di paglia, un lavabo su un sostegno di ferro e un tavolinetto traballante. Alcuni ganci e chiodi alla porta facevano le veci dell’armadio e del cassettone...”. Nonostante ciò ritenne che si poteva considerare una stanza allegra perché dall’unica finestra che dava sul cortile interno, si poteva ammirare un giardino ancora fiorito di dalie e di rose, chiuso in fondo da una serra colma di limoni.
            Familiarizzò subito con la moglie ed il figlio del locandiere. Il giorno successivo, di buon mattino, scese nell’uliveto dove, secondo la tradizione, doveva trovarsi l'antico “Benacus” e da lì uno scenario di luci e colori gli si presentò di fronte, con lo sfondo del Monte Baldo.
            Quando verso mezzogiorno ritornò alla locanda, dalla porta della cucina gli venne incontro il gestore il quale aveva su ogni mano un pezzo di carne cruda con l’intenzione di chiedergli quali delle due qualità avesse preferito gustare: quella di manzo o quella d’agnello. Con la stessa disinvoltura, riguardo al pranzo, si comportò anche nei giorni successivi. Ma il poeta era talmente attratto dall’arte e dalla bellezza dei luoghi, che molto raramente si occupava del suo nutrimento, tanto da non saper affermare se la cucina corrispondeva alle sue aspettative.
            Poco distante vi era l’unico caffè del paese, quindi il mattino successivo pensò di fare colazione proprio lì in quanto, secondo l’abitudine italiana, non era possibile consumarla nell’albergo in cui si era alloggiati.
            “LUIGI CARAMELLA, CAFE’ E LIQUORI” questa era la scritta che spiccava all’esterno dell’esercizio. Dalla finestra della stanza in cui era alloggiato, la sera prima aveva notato che davanti all’ingresso del caffè vi era una piccola schiera di notabili del luogo che fumavano e sorseggiavano diverse bevande di vari colori,  impegnati in un’animata discussione della quale però il poeta non riuscì a capire una sillaba perché, afferma, lì anche il Parroco ed il Maestro usavano esclusivamente il dialetto locale.
            Quando verso le dieci gli ospiti se ne andarono, l’oste prese un mandolino e accompagnò alcune canzonette popolari cantandole nel più puro dialetto napoletano.
            Il mattino seguente il poeta decise di entrare nel caffè, e. Giggi Caramella si presentò subito al nuovo ospite come un autentico napoletano, nato nel cuore di Santa Lucia. Era un tipo snello, bruno scuro, con occhi di fuoco che facevano capire tutta la sua scaltrezza e malizia, molto diverso – afferma Paul Heyse – dai visi lombardi con cui era abituato a convivere.
            Naturalmente l’oste raccontò all’ospite tutta la sua vita: era giunto a Genova per svolgere affari per conto del fratello maggiore che possedeva grandi vigneti a Posilippo e quindi per commerciare il suo vino. In seguito ad una gita sul lago di Garda si era trasferito a Toscolano e poichè il padrone del caffè era deceduto, aveva pensato di subentrargli, non tanto per gli ospiti del locale con i quali non c’era molto da guadagnare, ma per fissare quassù una base per lo smercio del “suo” vino. Sempre secondo l’oste napoletano, il “vino del Vesuvio” presto era diventato popolare in loco. Dopo queste descrizioni così colorite il poeta fu tentato di gustarlo anche perché al “Cavallo Bianco” non è che si parlasse molto bene di lui ed in più ai clienti veniva somministrato solo il proprio vino che  era acidulo.
            Finite le  presentazioni Paul Heyse si rivolse all’oste per ottenere un caffè, motivo per il quale aveva deciso di recarsi in quel locale. Dopo alcune tergiversazioni che non gli piacquero molto all’ospite ed una lunga attesa, l’oste gli portò una mistura torbida e densa in un piccolo bricco storto di stagno con dei pezzettini polverosi di zucchero e un panino non certo fresco vicino ad una tazza un po’ sciupata. Se l’ospite desiderava del latte, affermò l’oste, lo avrebbe mandato a prendere perché i suoi clienti bevevano solo caffè nero e preferivano, piuttosto, bibite, vino, liquori ed acqua gazzosa.
            Dopo questa prima esperienza Paul Heyse pensò bene di rinunciare a far colazione in questo caffè e presso la locanda in cui soggiornava, si fece preparare nei giorni seguenti qualcosa che assomigliasse ad un caffèlatte.
            Quanto descritto dal poeta sono solo piccoli particolari inerenti il suo soggiorno a Toscolano. Il suo interesse principale fu soprattutto la natura che lo circondava. Non vi fu colle o fattoria solitaria nel raggio fra Montemaderno e la bianca chiesetta di Gaino che esaminasse con curiosità di artista in cerca di motivi pittorici, tanto che in quei giorni riempì il suo album di “…paesaggetti con ornamenti…”.
            Nei vigneti e negli uliveti vedeva gli uomini svolgere il loro lavoro senza canti e suoni. Non c’era molta allegria nel paese, se si escludono le risate di Giggi Caramella. Si vedevano solo espressioni serie e tristi, perfino fra le ragazze e i bambini. Il poeta venne poi a sapere dal locandiere la ragione di quello stato d’animo spento e triste. Gli ultimi tre anni erano state annate cattive per il vino e per le olive. Così alcuni erano stati costretti a cercare lavoro nelle fabbriche di carta, nella gola del fiume Toscolano, “…lavoro che veniva mal pagato e che rendeva gli uomini, immagine di Dio, delle macchine...”
            Quanti - afferma il poeta - “…a causa sua si erano rovinati corpo e anima solo per far arricchire i proprietari…” E perché tanto bisogno di carta? Di libri ce n’erano già abbastanza nel mondo ed i giornali raccontavano solo menzogne. Se non ci fosse stata la carta il cittadino non sarebbe stato inquietato dai bollettini delle imposte. La carta, conclude il poeta, “…era dunque un’invenzione del diavolo e il Santo Padre a Roma avrebbe dovuta proibirla a  tutti i buoni cristiani…”, dimenticandosi  però, di rilevare che lui stesso ne faceva un ampio uso per la sua attività.
            Concludendo questa sua novella Paul Heyse racconta che dopo più di un quarto di secolo ritornò con la moglie a Salò e non mancò di fare una capatina a Toscolano per rivedere il suo “Cavallo Bianco” che era divenuto “Cavallino Bianco”. Seppe che da allora la pensione era passata in tre mani. L’attuale locandiera, essendo del posto, raccontò tutte le notizie riguardanti i precedenti proprietari ed altri personaggi che  aveva conosciuto nella sua breve permanenza. Il caffettiere Giggi Caramella, pieno di debiti fino al collo, se ne dovette scappare lasciando sola la sua Adele con una bimba piccola.
            Fin qui la descrizione del poeta.
            Per quanto riguarda il Caffè del Caramella ritengo che non possa essere che quello ubicato a piano terra dell’edificio posto a sinistra dell’ingresso in Via Cartiere, l’unica strada che un tempo conduceva all’interno della valle, dove attualmente si trova una parrucchiera (a 50 metri in via d’aria dal giardino interno della locanda ”Cavallo Bianco”). Nello stesso locale, diverse decine di anni fa, vi era l’Ufficio del Dazio.
            Nella mia collezione ho la preziosa fotografia ingiallita dal tempo qui sotto riprodotta,  risalente circa alla fine dell’800 che mostra il locale sopracitato con una nuova scritta all’ingresso: AL TICINO – LIQUORI – VINO.  Senza dubbio è lo stesso locale in cui s’installò Giggi Caramella, cambiandone però l’insegna.
            Ho fatto delle ricerche per avere maggiori notizie di questo singolare personaggio napoletano trapiantato a Toscolano, ma non ne sono venuto a capo di nulla. Forse il suo soggiorno a Toscolano fu così breve, a causa dei cattivi affari, da non lasciarne  alcuna traccia.

                                                                                                                       Andrea De Rossi


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