Nella
Valle delle Cartiere, circa sei secoli fa, oltre a numerose fucine per la lavorazione
del ferro già esistenti,chiamate allora
“ferrarezze”, sorsero le prime cartiere che, nel corso dei secoli successivi,
aumentarono fino a raggiungere nel
Seicento il numero complessivo di 160, occupando così ogni piccolo angolo della
valle. Il motivo fu uno solo: lo sfruttamento dell’energia idraulica del
torrente Toscolano.
Quando,
invece, verso la fine dell’Ottocento fu disponibile l’energia elettrica, gli
opifici incominciarono a diminuire e agli inizi del Novecento, quando quasi
tutte le cartiere esistenti nella valle erano divenute di proprietà Maffizzoli,
questi ritennero economicamente più conveniente per i rifornimenti di materia
prima e per lo smercio del prodotto finito, di trasferire la loro attività a
Toscolano in località “Capra” costruendo un grande stabilimento. L’energia
elettrica per il funzionamento dello stesso era prodotta dalle officine
elettriche delle Camerate e delle Garde.
Fino
al 1874, data di costruzione delle gallerie e della strada di accesso, gli
opifici della valle si potevano raggiungere attraverso tortuosi sentieri che
scendevano da Gaino. Le centinaia di persone, uomini e donne, che lavoravano
nelle fabbriche, per abbreviare il percorso, erano costretti a percorrere il
pericoloso “sentiero delle assi” posto fra la seriola ed il letto del fiume. Il
sentiero prese questo nome perché, per raggiungere le varie cartiere poste
alcune sulla riva destra ed altre su quella sinistra del torrente, furono poste
delle assi di legno che avevano la funzione di piccoli ponticelli.
Fino
al 1928, epoca in cui i comuni di Maderno e Toscolano si unirono in un solo
comune, il torrente faceva da confine fra gli stessi fino oltre Maina
superiore. Da qui il confine abbandonava il torrente e saliva direttamente
verso il monte Pizzocolo.
Dopo
l’abbandono della valle da parte dei Maffizzoli, la stessa è caduta in un grave
stato di degrado e la vegetazione ha completato l’opera, ragione per cui – da
qualche anno – un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova, diretti dal
Prof. Brogiolo verso la fine dell’estate si sono ritrovati nella valle per
riportare alla luce i resti di una antica cartiera in località “Gatto”, che si
trova presso il ponte in pietra che si collegava con Luseti crollato nel 1939.
Terminato
questo lavoro gli stessi ricercatori si sono spostati nel 2006 sulla strada fra
Maina superiore e Vago per scavare sui resti di una piccola cartiera risalente
al Cinquecento.
I
lavori di scavo hanno dato esiti clamorosi. Dopo aver asportato la numerosa
vegetazione e la terra che copriva i
resti di questo opificio, sono venuti alla luce alcuni piccoli locali. In uno
di questi sono state trovate, da una parte, n.6 vasche rettangolari scavate in
un unico blocco di pietra e, dall’altra di fronte a queste un altro masso
intero di pietra con diversi fori tutti delle stesse dimensioni nei quali
venivano installati dei pestelli di legno o “folletti” che, azionati
dall’energia idraulica di un canale che scorreva di fronte al piccolo stabile,
battevano violentemente, come martelli, gli stracci posti nelle vasche di
fronte riducendoli ad una poltiglia. Questa, dopo essere stata pressata ed
asciugata, veniva trasformata in fogli di carta. In un locale attiguo è stato
rinvenuto un piccolo forno costruito in pietra e mattoni che doveva servire a far
bollir la colla necessaria per impermeabilizzare la carta onde evitare che
l’inchiostro non si trasferisse nel retro del foglio. In questi locali sono
stati rinvenuti anche numerosi attrezzi dell’epoca, che saranno collocati nel
Museo della Carta.
Tali
importanti reperti sono stati recintati e, in seguito, si dovrà pensare ad
eseguire le opere necessarie di conservazione degli stessi in modo che
diventino un patrimonio culturale permanente a disposizione del pubblico.
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