Nel
1994 Giovanni Maria Giuffredi,
classe 1921, agente motociclista-portaordini e di scorta al Duce, uomo fidato
del vice capo della Polizia, con alle spalle il fronte russo, la ritirata dalla
Sicilia a Salerno, un’esperienza rocambolesca alla divisione corazzata
“Centauro”, esecutore del rischioso trasferimento di un sacerdote ricercato
dalle Brigate Nere per aver aiutato dei partigiani, disse a Tullio Ferro per
“Segreti del Garda”:
“Non
si palesa un segreto dire che Mussolini tutti i giorni scriveva una lettera
alla Petacci. Io ero uno dei pochi a cui
veniva affidato il compito di prendere in consegna la quotidiana lettera a
Gargnano, superare il posto di blocco presso Villa Feltrinelli tenuto dai
tedeschi, superare l’altro “stop” a Maderno in mano ai “Pisani”, uomini
fidatissimi di Buffarini Guidi, ministro dell’interno, e a raggiungere Villa
Fiordaliso a Fasano di Gardone Riviera dove abitava l’amica del Duce. Tutto
qui? “No di certo. Il compito non era così facile. Dovevo fermarmi a Maderno
presso l’Ufficio del Dottor Eugenio Apollonio, sito a Villa Adele. Lì aveva luogo una segreta e delicatissima operazione
che doveva durare il minor tempo possibile: aprire la busta, fotografare il contenuto, porre in
ordine il plico. Quindi riprendere la strada per Villa Fiordaliso. Una specie
di corsa ad ostacoli che mi raggelava poiché temevo di essere inseguito.”
Insomma
tutte le lettere di Mussolini dirette a Claretta venivano fotografate e lette dalla Polizia: E quelle di Claretta subivano lo
stesso trattamento?. “Non lo so. Non ebbi mai l’incarico di corriere da Villa
Fiordaliso e da Villa Mirabella, che era entro le mura del Vittoriale, ultima
residenza della Petacci sul Garda.” Come
fece lei a sapere dell’apertura delle lettere?. “Il Dott. Apollonio di me si
fidava. Anzi un giorno m’informò che io sarei stato della partita per una
importante delicata missione. Venni quindi a sapere che le lettere del Duce si
leggevano per conoscere eventuali impreviste mosse di Mussolini, confidate in
anticipo alla sua amica, informazioni che sarebbero potute servire per
eventuali contromosse. Mussolini non sapeva del piano escogitato da Tullio
Tamburini, capo della Polizia, e da Apollonio.
Quale
piano?
“Un
tentativo di liberare Mussolini praticamente prigioniero dei tedeschi e,
attraverso i partigiani delle Fiamme Verdi, consegnarlo al momento opportuno
agli Alleati. Del piano sarebbe stato a conoscenza anche Monsignor Ferretti del
Duomo di Salò. Accade, invece, che Tamburini e Apollonio vennero arrestati e trasferiti
in Germania perché accusati di tramare contro i tedeschi. Questa era almeno la
versione ufficiale. La verità era che i due stavano preparando un commando
guidato dal colonnello Pavone per salvare Mussolini dalla morte una volta che
fosse caduto nelle mani di altri partigiani non inquadrati nelle Fiamme Verdi.”
In tal senso sembra che il piano “Tamburini-Apollonio-Pavone” non fosse
l’unico. Infatti esistono documenti che testimoniano un tentativo di
abboccamento, sempre tramite Monsignor Ferretti, da parte del ministro
dell’Interno Paolo Zerbino, che nel febbraio 1945 aveva sostituito Buffarini
Guidi, con le Fiamme Verdi. Si pensava a una specie di “armistizio” tra
repubblichini e partigiani, una zona franca per arrivare alla fine del
conflitto con le armi abbassate”.
Poi
cosa accadde? “Qualcuno tradì ed il piano andò in fumo. Infatti, un brutto
giorno i tedeschi, agli ordini del famoso Kappler, fecero irruzione
nell’Ufficio operativo (ex Albergo Milano) dove prelevarono documenti e altri
carteggi (Forse trovarono pure le fotografie delle lettere Mussolini-Petacci?).
Il commando, non ancora perfettamente inquadrato, si sfaldò. Io, per paura di
essere interrogato, fuggii saltando da una finestra, quindi non venni
identificato tanto che all’indomani potei riprendere normale servizio”.
Giuffredi potè poi salvare un certo Sansoni (detto palanca), che stava
correndo il rischio di essere arrestato dalle Brigate Nere perché teneva a
Maderno un deposito clandestino di benzina. “Arrivai prima io da Palanca e così
dopo aver fatto sparire il carburante, gli misi le manette e dopo una notte in
camera di sicurezza, tutto andò a posto”.
Giuffredi
era a conoscenza di molti altri fatti della sfera Mussolini-Petacci. Egli
sapeva che gli incontri tra i due avvenivano per lo più nella vicina Torre
S.Marco, già Torre Ruhland, così chiamata poiché apparteneva alla omonima villa
(Ruhland: quiete nel paesaggio). In questa torre-garconnière i due amanti
trascorrevano ore in assoluto isolamento, al riparo di occhi indiscreti. Si parlò poi che le lettere a Mussolini la
Petacci le scrivesse su carta a mano con impressa l’immagine
di una colomba e di un’aquila e il verso ovidiano “(Né con te né senza di te
posso vivere).
Il
racconto di Giuffredi, dopo qualche divagazione, ritornava sulle lettere. “Per
me quella busta scottava da non dire poiché, anche se non recava alcun
indirizzo, la destinataria era la signora Petacci”
Altri
delicati incarichi per Giuffredi furono quelli di scortare l’auto del Duce o di
viaggi segreti. Così ebbe a raccontare a Tullio Ferro nel 1976.
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