mercoledì 28 gennaio 2015

DECORAZIONI DI G.DE ROSSI SU CASE E VILLE





Non posso fare a meno di ricordare, in questa occasione,mio padre Giovanni De Rossi (1881-1957) che, dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale quale Sergente Maggiore degli Alpini, al suo ritorno a casa - pur essendo un autodidatta - un semplice pittore, si è dato alla decorazione di numerose case o ville. Contemporaneamente ha svolto la funzione di insegnante di disegno "ornato" presso la Scuola Professionale serale che si svolse a Maderno dal 1927 in poi: prima presso i locali dell'ex Municipio in Piazza Maderno, poi nei saloni del palazzo Gonzaga ed, infine, nelle aule delle scuole elementari di Maderno che si trovavano nel Palazzo Benamati.
La foto sopra riprodotta riguarda il soffitto della sala da pranzo dell'Hotel Maderno.
Poi eseguì la facciata della Villa Bianchi (ex Hotel Golfo) usando una particolare tecnica chiamata  "graffito" che consiste in una incisione a "graffio" realizzata da una punta metallica su una superficie levigata di calce e sabbia, mettendo allo scoperto un sottostante strato pre-applicato, di colore diverso, come risulta dalla seguente immagine:











Anche l'Albergo Milano sul Lungolago di Maderno venne decorato






La ex villa del Dr.Carrobio in Via Aquilani a Maderno


Nonchè la vicina villa Serenella


La casa Vezzoni in Piazza Maderno

La casa Bottura in Via Garibaldi a Maderno



Ex villa Cavallero sul Lungolago di Maderno




Sulla facciata dell'ex albergo Rock, quando era una casa privata

                                                              Orfeo poeta e musicista

Decorò anche la cattedrale di S.Lorenzo a Lugano (Svizzera) e lavorò al Castello Sforzesco di Milano. Anche la decorazione della ex Casa di Riposo di Gavardo, divenuta ora Ospedale e le scuole elementari di Villanuova furono opera sua. Nel 1929 decorò un altare dedicato alla Madonna. nella Parrocchiale di Gavardo del quale conservo lo schizzo originale corniciato del disegno,
Naturalmente diverse decorazioni, risalenti a 70/80 anni fa sono state necessariamente restaurate da altri decoratori fra cui quelle della ex villa Cavallero, dell'Hotel Milano e della casa Vezzoni.

                                                                                                           Andrea De Rossi







IL POSTINO, A PIEDI, CONSEGNA LA CORRISPONDENZA



Nel secolo scorso la posta veniva consegnata dal postino nelle varie destinazioni recandosi a piedi o in bicicletta. La foto, riproducente il noto postino di Maderno Mario Pellegrini in piazza, conferma quanto detto.
                                                                                                            Andrea De Rossi

martedì 27 gennaio 2015

CHIESETTA DI S.MARTINO A MONTE MADERNO






Poco sotto la frazione di Sanico, nei pressi dei prati di S.Martino, vi è un piccolo colle al centro del quale vi è un cimitero dove, fino verso la fine dell’800 trovavano sepoltura i defunti di Maderno e delle sue frazioni. Al centro sorge una piccola chiesetta dedicata a S.Martino di Tours con annesso un piccolo vano. E’ sorta in un antico romitorio e fu adattata all’interno di una torre circolare, probabilmente di origine romana, che era posta a protezione del paese, dalle incursioni delle popolazioni montanare che mal si adattavano a convivere con la gente latina.
Per la sua posizione isolata e lontana dagli abitati, funzionò come lazzaretto in caso di
epidemia fino all’inizio del 1600. Dal 1617 al 1748 ospitò diversi eremiti ai quali, dal 1751, fu proibito ogni  accesso.
                                                                                                    Andrea De Rossi







accesso.

TRASPORTO MERCI SUL LAGO CON BARCHE A VELA



Con l’incalzare della vita moderna molte attività lacustri sono completamente scomparse o soppiantate da nuovi mezzi e da pressanti esigenze commerciali e casalinghe.
Una di queste è quella del trasporto di merci su natanti. Si trattava di grandi barconi con enormi vele a colori sgargianti su molte delle quali spiccavano vistosi rattoppi (erano allora tempi veramente duri!). Negli ultimi anni,nel tentativo di rincorrere i tempi, si erano perfino attrezzati con un motore ausiliario.
Sulla sponda occidentale del lago di Garda il golfo più adatto ad accogliere questi natanti carichi di merci era senza dubbio quello di Maderno. I più numerosi provenivano dalla sponda orientale del lago con carichi di pietre o altri materiali. Gli altri, invece, provenivano da Desenzano con altro materiale o beni di consumo giunti con il treno. Con questi mezzi lacuali era trasportato tutto ciò che oggi viene facilmente e più velocemente trasportato su strada con gli autocarri.
Questi barconi, in attesa dello scarico della merce, venivano ormeggiati a fianco della banchina del golfo di Maderno che dalla piazza giunge fino all’approdo dei battelli. Nei primi decenni dello scorso secolo, lo smistamento e la consegna della merce nei paesi circostanti era facilitata dalla possibilità di caricare direttamente sui carri merci della allora esistente linea tranviaria Brescia-Gargnano, che dalla piazza deviava fino all’imbarcadero.
In genere tutti questi natanti, dopo aver scaricato il loro materiale, ritornavano a destinazione carichi di legna da ardere proveniente dalle montagne circostanti.
Da oltre cinquant’anni, quest’attività è completamente scomparsa. Al posto dei barconi il golfo di Maderno è stato progressivamente occupato da numerose “barche” d’ogni tipo e misura, alcune delle quali fornite di tutti i comfort possibili e, naturalmente, usate a scopo turistico.
Come una rarità, durante l’estate, si vede ancora uno di questi barconi solcare il lago. Si
tratta del “San Nicolò” di Bardolino, munito di due grandi vele bianche, carico non di merce ma di
turisti che hanno così la possibilità di osservare e godersi meglio le coste del lago. In effetti, però,
questo barcone allestito esclusivamente per scopi turistici, funziona a motore mentre le sue bianche
vele, salvo casi eccezionali, le donano soltanto la caratteristica immagine di un tempo lontano.

                                                                                                           Andrea De Rossi


lunedì 26 gennaio 2015

ESPOSIZIONE VOLUMI DEI PAGANINI STAMPATI NEL XVI SECOLO


Presso il “Centro di Eccellenza - Polo Cartario” di Maina inferiore, in Valle delle Cartiere, 57 a Toscolano, il 1° marzo 2008 è stata inaugurata dal Sindaco e Presidente della Fondazione Valle delle Cartiere, alla presenza di numerose autorità, la mostra di antichi volumi stampati a Toscolano dai Paganini nel XVI secolo.
L’esposizione comprendeva 54 preziosi volumi stampati da Paganino e Alessandro Paganini (padre e figlio) dei quali 32 sono stati gentilmente concessi in comodato alla Fondazione Valle delle Cartiere, (organizzatrice di questa mostra) e gli altri concessi in prestito dalla Biblioteca Queriniana di Brescia e dalla Fondazione Ugo da Como di Lonato.
Ma chi furono questi Paganini e perché scelsero Toscolano come luogo per la loro attività?
Il padre del Paganini, Gaspare, fu il capostipite di una famiglia di editori e cartai di Cigole che si trova nella bassa bresciana, patria di altri stampatori come Giovanni Antonio Bruciano, Turbini Damiano e i suoi eredi.
Agli inizi del 1500 Paganino Paganini fu chiamato da Venezia dove esercitava la sua attività da padre Francesco Lechi, detto il Licheto, nell’Isola di Garda dove esisteva allora un centro di studi religiosi affinché stampasse il commento alle opere di Duns Scoto. Paganino accettò l’invito e si trasferì nell’isola portando con sé la sua officina ricca di caratteri vari e di varie misure, nonché di pregevoli iniziali incise e disegni.
Secondo lo storico locale DonatoFossati soltanto nel 1519, altri indicano invece il 1517, avendo ritenuto conveniente economicamente avvicinare la loro attività al centro di produzione della carta, Paganino con il figlio Alessandro si trasferirono a Toscolano e svolsero il loro lavoro prima in contrada Porto, poi si spostarono nella  frazione Cecina, poco distante da quella di Messaga dove anni prima aveva operato Gabriele di Pietro, altro famoso stampatore. Già da tempo i Paganini possedevano nella valle delle cartiere a
Toscolano una fabbrica di carta nei “folli”di Maina la quale nel 1570 passò di proprietà a Nicolò fu Vincenzo Cappuccini di Gaino. Questi “folli”,così venivano chiamati in quel tempo le piccole fabbriche di carta, secondo quanto afferma Donato Fossati, dovevano essere nella località dove sorgeva lo stabilimento cartario della soc.Andrea Maffizzoli, detta Maina, l’unica tra le tre dello stesso proprietario che si trovavano nel territorio di Toscolano. Secondo la mia ipotesi dovrebbe trattarsi di quella che viene chiamata “Vancinelle”dato che le altre due confinanti più a valle erano in territorio di Maderno. Dal 1519 al 1538, anno in cui morì il Paganino e forse anche lo stesso Alessandro, gli stessi pubblicarono a Toscolano una cinquantina di opere la maggioranza delle quali fu composta con uno speciale carattere bizzarro semidiritto, tra il corsivo ed il romano, che fu appunto chiamato “carattere dei Paganini”. L’elenco dei libri stampati a Venezia, all’Isola e a Toscolano dai Paganini è elencato nel volume di Angela Nuovo “Alessandro Paganino - 1509- 1538”, pubblicato dall’Editrice Antenore di Padova nel 1990.
E’ bene ricordare che Alessandro Paganini, oltre che stampatore, fu anche un grande disegnatore e quindi un abile creatore di caratteri tipografici, un cosiddetto “punzonatore”.
I Paganini iniziarono a stampare a Toscolano una collezione di libri in “ventiquattresimo”, termine tecnico che si riferisce al formato ottenuto piegando il foglio di stampa in 24 parti, creando un libretto che ora chiameremmo di formato tascabile. Proseguirono poi con una collezione di libri in ottavo il cui formato si otteneva, invece, piegando il foglio di stampa tre volte e ricavandone così 16 pagine. Caratteristica di questi
volumi stampati a Toscolano fu l’iscrizione in cornice rettangolare, riprodotta qui accanto, che di solito veniva stampata sul verso dell’ultima pagina, come se fosse una firma editoriale. L’iscrizione fu così tradotta: PAGANINO E ALESSANDRO PAGANINI BENACENSI FECERO A BENACO (antico nome di Toscolano zona porto) mentre la sigla finale V.V. secondo alcuni doveva intendersi viva viva, secondo altri viva Venezia, ma in sostanza non fu mai esattamente interpretata e divenne un problema di enigmistica.
Molto interessante è la storia riguardante la stampa del Corano stampato per la prima volta nel 1538 in arabo a Venezia da Alessandro Paganini. Secondo il Baroncelli nessun esemplare di quest’opera si sarebbe salvato perché, pareva che tutte le copie siano state distrutte per ordine dell’Autorità Pontificia di quel tempo, mentre i caratteri usati per la stampa di questo volume furono trasferiti a Toscolano. Fu, invece, Angela Nuovo che nel sopraccitato suo volume annunciò di aver ritrovato, dopo 450 anni, una copia del Corano presso la Biblioteca dei Frati minori di S.Michele di Venezia. La stessa afferma trattarsi di un capolavoro tipografico tutto in arabo, senza una sola riga o data in altre lingue, ad eccezione del visto del Vicario del Santo Ufficio di Cremona, Arcangelo Mancasula.
Quindi, secondo la Nuovo, il Corano non sparì dalla circolazione ma, semplicemente, non venne mai fatto circolare in Europa e si risolse in un fallimento. I Mussulmani dimostrarono una grande avversione nei confronti della stampa perché un passo dello stesso Corano vieta agli infedeli di accedere al testo sacro. Fu quindi Alessandro a risentire le conseguenze finanziarie e professionali di questa grande operazione che fallì.
Esaminando il libro di Angela Nuovo, si rilevano tutti i 98 libri che i Paganini stamparono
prima a Venezia, poi all’Isola (indicato Salò) ed infine a Toscolano, che sono così suddivisi.
VENEZIA n.47
SALO’ n. 2
TOSCOLANO n.49
Dei 47 stampati a Venezia tre portano il nome di Paganino e Alessandro, tre solo di Paganino e 41 solo di Alessandro. Dei due stampati a Salò uno porta i nomi di Paganino e Alessandro e uno solo di Alessandro.
Dei 49 stampati a Toscolano, 17 portano i nomi di Paganino e Alessandro, 29 solo di Alessandro e 3 solo di Paganino. Paganino Paganini volle essere sepolto nella chiesa della Beata Vergine di Benaco a Toscolano. Con la sua morte il figlio  Alessandro cessò la sua attività. Tra i personaggi dell’epoca ai quali i Paganini dedicarono alcune loro edizioni di Toscolano, ricordiamo Isabella Gonzaga, Francesco Corner, procuratore di San Marco ed il Cardinale Giulio dè Medici.

Copertina di uno dei libri che i Paganini stamparono a Toscolano. Il Lechi così la interpretò: " PAGANINO
                                                                                                                         Andrea De Rossi


E ALESSANDRO PAGANINI BENACENSI  FECERO, VIVA BENACO".

LA CHIESETTA DI LUSETI IN VALLE CARTIERE



In località Luseti, in fondo alla valle delle cartiere, dove intorno è desolazione, esiste una chiesetta dedicata ai SS.Filippo e Giacomo che alcuni anni fa fu profanata e danneggiata da vandali.
Con l’intento non solo di fermare questa distruzione, ma anche di ripristinare il luogo sacro nonché di adattare una vicina casetta – che un tempo fu l’abitazione della famiglia Civieri – ad uso ricreativo dei giovani, fu costituito un gruppo volontario di cittadini, tra i quali diversi Alpini, denominato “Amici di Luseti”.
Il risultato di tale coraggiosa iniziativa non si è fatto attendere molto. Domenica 28 Settembre 1997 vi è stata l’inaugurazione dei lavori della chiesetta, unitamente a quella dello stabile adibito ad attività ricreativa dei giovani.
La numerosa partecipazione di cittadini ,è stato il segno della riconoscenza verso le persone che hanno sacrificato il loro tempo libero per raggiungere questo obiettivo.
Per giustificare l’esistenza di questa chiesetta, in un posto ora così abbandonato, necessita ritornare indietro nel tempo di almeno quatto o cinque secoli, quando questa valle era letteralmente invasa da opifici ed in particolare da industrie cartarie.
Proprio a Luseti nel 1480 esisteva una cartiera di proprietà del Beneficio Parrocchiale di S.Nicolò di Cecina, mentre a poca distanza più a nord, in località Covoli, vi erano le cartiere della famiglia Vicario di Gaino che furono demolite verso la fine del '800 per far posto all'Officina che avrebbe fornito la corrente elettrica a tutti i paesi della riviera.Naturalmente quelle industrie citate sono fra le più antiche, ma nel corso degli anni ne sorsero numerose altre. Da una ricerca di Flavio Piardi risulta che nel 1852 (periodo in cui da tempo l'attività era in calo) ai Covoli n’esistevano due, cinque a Luseti, una alla località Gatto, due a Caneto, una a Vago, quattro a Maina superiore, una a Maina inferiore, una a Lupo, una alle Quattro ruote, tre alle Garde, una al ponte ed altre sette nel promontorio. Buona parte si trovavano sul territorio di Toscolano mentre le altre su quello di Maderno. Il motivo di tale concentrazione d’opifici in così breve spazio era lo sfruttamento dell'energia idraulica del fiume.
Fino al 1872, epoca in cui fu costruita la strada di accesso da parte di un Consorzio formato da sette principali industriali della carta e dai due comuni, tutta l'attività industriale era racchiusa dentro la valle alla quale si poteva accedere esclusivamente attraverso gli impervi sentieri che scendevano da Gaino dove, di conseguenza, dovevano passare sia i rifornimenti che il prodotto finito delle varie industrie. Le centinaia d’uomini, donne e fanciulli erano costretti a percorrere ogni giorno per recarsi al lavoro il pericoloso "sentiero delle assi" posto tra la roggia ed il letto del fiume che da Maderno e Toscolano conduceva all'interno della valle. Molte furono le disgrazie a causa del sentiero assai stretto per la caduta di sassi e ghiaccio particolarmente nella stagione invernale.
In fondo alla valle dove finiva la strada le numerose fabbriche e la quantità d’operai costantemente sul luogo, fecero nascere il nucleo abitato detto LUSETI ma che fu chiamato anche Losedo o semplicemente Contrada.
Nel XVI secolo la ricca famiglia Tamagnini, allora proprietaria di cartiere presso la chiusa di Lume, Löm in dialetto, eresse e donò la chiesetta dedicata a S.Filippo e Giacomo. La chiesetta si trova vicino all'attuale ponte in muratura, costruito la prima volta nel 1763, travolto dal fiume in piena nel 1939 e non più ripristinato ma semplicemente adattato per il passaggio dei pedoni.Il motivo, mai conosciuto prima d'ora, per il quale questa chiesetta fu dedicata ai due Santi Filippo e Giacomo, lo ha scoperto recentemente la sig.na Letizia Erculiani nel corso delle sue numerose ricerche storiche. I Santi Filippo e Giacomo risultano essere i patroni dei "gualchierai" cioè di coloro che sono addetti al funzionamento delle "gualchiere" che sono macchine mosse dalla forza idraulica che si usavano in passato per "follare" sottoporre i tessuti di lana ad una pressione meccanica esercitata dall'alto con un pistone onde ridurli ad una poltiglia) In sostanza lo stesso lavoro che centinaia di operai esercitavano nella Valle delle Cartiere per preparare la materia prima necessaria alla fabbricazione della carta.
I costruttori della Chiesetta abitavano nella costruzione quattrocentesca al porto di Toscolano, un tempo unito all'ex setificio da un cavalcavia ed ora trasformata in condominio. Fu in questo palazzo dei Tamagnini che nel XVI secolo i tipografi Paganino Paganini e il figlio Alessandro ed i loro allievi, stamparono la famosa collezione di classici divenuta ora rarissima.
Per comprendere l'importanza della famiglia Tamagnini, basti pensare che i membri della stessa ricevettero sepoltura nel Santuario della Madonna del Benaco, insieme a pochi altri, com'era consuetudine in quei tempi.
La chiesetta fu sempre sotto la giurisdizione della Parrocchia di Gaino, ma dal 1935 passò a quella di Toscolano. Fino ad alcuni decenni fa ogni domenica era celebrata la S.Messa.
Il decollo industriale della zona ebbe inizio dopo la costruzione della strada d’accesso alla Valle, ma durò ben poco perché agli inizi di questo secolo la cartiera Maffizzoli, la più grande esistente nella valle, iniziò la costruzione del "grandioso" stabilimento di "Capra" a Toscolano per avvicinarsi così alle vie di comunicazione, particolarmente quella lacuale. Da qui ebbe inizio la progressiva decadenza delle industrie cartarie della valle. Nel 1904 gli opifici erano ridotti a sette od otto e nel corso degli anni successivi sparirono completamente.
Buona parte furono demoliti, di altri se ne vedono labili tracce perché ingoiati dalla spessa vegetazione contribuendo così a creare una zona abbandonata e degradata tanto più ci si addentra nell'interno. A Luseti, infatti, le attività hanno cessato prima che altrove. L'addio definitivo a questa valle che per secoli fu un importante centro industriale l'hanno dato la cartiera della Garde nel 1959 e per ultima quella di Macallè nel 1961.
Notizie varie sullo stuccatore RETI DAVIT o DAVIDE e sulla facoltosa famiglia TAMAGNINI che costruì la chiesetta a Luseti dove lavorò il Reti
Gli incaricati del delicato lavoro di restauro dell’altare dedicato ai Santi Filippo e Giacomo della chiesetta di Luseti, in fondo alla valle delle cartiere, nel corso dei lavori hanno scoperto, in basso a sinistra dell’altare stesso, il nome dell’autore: DAVIT RETI (vedi foto nella pagina precedente) cui finora nessuno aveva mai attribuito quest’opera, compresi gli esperti d’arte come Passamani o Panazza. Trattasi di uno stuccatore di alto livello di Laino, in valle d’Intelvi (Como). Lavorò alla Madonna delle Grazie a Brescia, alla Cappella del Sacramento del Duomo di Salò e all’Inviolata di Riva.
Tale chiesetta fu costruita nel XVI secolo dalla ricca famiglia Tamagnini che era proprietaria di una cartiera in località Löm, a poche centinaia di metri dal luogo in cui fu innalzata la chiesa. La chiesa fu sempre sotto la giurisdizione della Parrocchia di Gaino e solo dal 1935 passò a quella di Toscolano. Vedendo ora questo edificio sacro in una zona abbandonata, il visitatore si chiederà per quale motivo fu costruito qui. Per capirlo bisogna ritornare indietro nel tempo di almeno 4 o 5 secoli, quando la valle delle cartiere era letteralmente invasa da opifici di vario genere ed in particolare da industrie cartarie che si erano concentrate in questo limitato spazio al fine di sfruttare al massimo l’energia idraulica del fiume, quando ancora non c’era l’energia elettrica. Basti pensare solo al numero delle industrie cartarie esistenti in quel tempo: in località Covoli ne esistevano due, cinque a Luseti compresa quella di Löm, una in località Gatto, quattro a Maina superiore, una a Maina inferiore, una a Lupo, una alle quattro ruote, tre alle Garde, senza contare quelle altre sette del promontorio. E’ quindi da immaginare il numero di persone che avrà affollato la suddetta valle ed è quindi giustificato il motivo per cui è sorta in questa zona tale chiesetta.
La suddetta famiglia Tamagnini, invece, abitava al Porto di Toscolano nel quattrocentesco edificio che nel XVI secolo ospitò i famosi tipografi Paganino Paganini ed il figlio Alessandro che stamparono la famosa collezione di classici, divenuta ora rarissima. Nel secolo scorso, era l’abitazione della famiglia Oliverio, proprietaria del Setificio.
Dai documenti storici risulta che i membri della famiglia Tamagnini, insieme a pochi nobili, ebbero l’onore di essere sepolti nel Santuario della Madonna del Benaco. Inoltre un membro di tale famiglia, Gerolamo Tamagnini, nel 1668 fu compare di nozze, insieme ad altri due nobili Scipione
Delai e Camillo Sgrafignoli, di Andrea Celesti, (sposato con la veneziana Martina Davagni) il celebre pittore che decorò la chiesa parrocchiale di Toscolano. Sempre nel 1668 il Celesti decorò nella suddetta chiesa, su un pannello sottostante la vetrata destra del coro, i nomi e gli stemmi di Scipione Delai,Gerolamo Tamagnini e Camillo Sgraffignoli tutti e tre appartenenti a ricche famiglie locali, padroni di industrie di ancore e catene, cartiere e limonaie. Gli stemmi riproducono rispettivamente:
- un toro per la famiglia Tamagnini
- un leone rampante per la famiglia Delai
- una mano che punta l’indice a destra per la famiglia Sgrafignoli
A proposito del toro che rappresenta la famiglia Tamagnini, nel centro dell’altare della chiesetta di Luseti, vi è riprodotto un toro rampante che potrebbe essere l’emblema della famiglia committente, com’era consuetudine in quel tempo.
                                                                                                              Andrea de rossi




sabato 24 gennaio 2015

COLONNA DI S.MARCO IN PIAZZA MADERNO



E' il segno della dominazione veneta che, dal 1426 proseguì per ben 371 anni fino al 1797.
Sul basamento che sostiene l'agile colonna, nel lato verso il lago, si osservano in bassorilievo le figure di due Santi:: S.Andrea e S.Ercolano. Il primo è patrono di Maderno ed il secondo dell'intera Riviera del Garda.
Come avvenuto in altri paesi vicini, anch’essi dominati dalla Serenissima, questo monumento con il simbolo di Venezia fu posto di fronte al Municipio (allora di Maderno) che aveva sede in Piazza.
Originariamente la colonna sorreggeva un leone alato in pietra con il libro recante la scritta: "PAX TIBI MARCE EVANGELISTS MEUS" ed i gradini erano cinque. Oggi ne rimangono solo tre: gli altri due sono stati coperti dal materiale steso per alzare il piano della piazza, dopo la disastrosa piena del lago avvenuta nel 1961.
Fino al 1937, data in cui fu costruito presso il Cimitero di Maderno il nuovo Monumento ai Caduti di Toscolano-Maderno, sulla colonna era posto un grosso medaglione sul quale erano incisi i nomi dei Caduti di Maderno. Rimangono evidenti i segni di tale operazione.
Un monumento del tutto simile a questo, ancora nella sua veste originale e ben conservato, si può ammirare al centro della piazza di Lonato, di fronte alla sede Municipale. Un altro esisteva a Salò nella Piazza dove si trova ora il Monumento ai Caduti, ma fu demolito completamente ed il suo basamento fu successivamente usato per sostenere la statua di S.Carlo, posta nell’omonima via di Salò.
Ritengo che l'unico particolare per il quale la colonna di Maderno si distingue dagli altri siano solo quelle due figure di Santi in bassorilievo poste sul lato a lago del basamento, che riproducono i patroni del paese.
La colonna fu eretta a conferma della fedeltà a Venezia per decisione del Consiglio Comunale di Maderno nella seduta del 16 agosto 1610. L'anno successivo fu dotata tutt’intorno di cinque gradini. Si conoscono molto bene anche i particolari del periodo in cui l'originale leone in pietra fu abbattuto e fu sostituito da quello attuale in bronzo, ben lontano nelle fattezze dall'originale.
L’episodio accadde alla fine del '700, quando i francesi invasero l'Italia; mentre alcuni monumenti della Serenissima furono completamente demoliti, a Maderno si limitarono al solo leone alato in pietra.
Infatti, un gruppo di militi scalò la colonna di cui si parla e s’impossessò del leone in pietra. Anziché distruggerlo, ritenne più originale caricarlo su una barca e portarlo al largo del golfo. Prima di lasciarlo cadere nella profondità del lago gli attaccarono una corda al collo con una grossa pietra. Un gesto certo inutile ma che aveva un preciso significato politico. La colonna rimase così orfana del suo leone per più di un secolo, quando partirono le prime iniziative per rimetterne uno nuovo. Nel 1896, in occasione della visita al suo amico G.Zanardelli, lo scultore e pittore siciliano Ettore Ximenes manifestò la volontà di offrire all'Amministrazione Comunale il leone tanto desiderato.
Passarono alcuni anni senza che il dono giungesse perciò nel 1901 l'Amministrazione Comunale decise di provvedere direttamente ad ordinarlo al Cav.Domenico Ghidoni (di Ospitaletto con studio a Milano) che scelse per il lavoro la pietra di Mazzano. Appena iniziata l'opera giunse la notizia che lo scultore Ximenes intendeva mantenere la promessa ma, anziché in pietra, il leone sarebbe stato in bronzo. Il motivo di questa scelta fu per evitare che facesse la stessa fine del primo che egli aveva già portato a termine, ma che durante il viaggio aveva avuto un'ala mutilata (così perlomeno affermò il donatore). Il 1° settembre 1902 giunse finalmente a Maderno la tanta attesa cassa contenente il dono. Ma, appena aperta, l'impressione fu veramente deludente per tutti. Il leone era di modeste dimensioni e, soprattutto,mancava il libro con la scritta latina, perciò nulla aveva a che vedere con il simbolo di Venezia.
Grande fu l'imbarazzo della Giunta Municipale, come si può capire fra le righe del verbale.
Si doveva o no accettare il dono di questo leone che nulla aveva della fierezza del simbolico emblema veneziano? Trattandosi di un omaggio che lo scultore intendeva offrire al Comune, tramite il Primo Ministro Zanardelli, come poteva l’Amministrazione non accettarlo senza mancare di rispetto allo statista?
Infine il riguardo nei confronti di Zanardelli ebbe la meglio ed il Consiglio Comunale, nella seduta del 13 novembre 1902, decise di accettarlo. Fu posto definitivamente sulla colonna il successivo mese di dicembre e vi si trova tuttora.
Nel 2006, in occasione della rimessa a nuovo della colonna, sono stati portati alla luce i due gradini in pietra che erano stati coperti, con materiale, per l’innalzamento del piano stradale causa la esondazione del lago del 1961.

                                                                                                                      Andrea De Rossi



          
                                                        La colonna sprovvista del leone (1900)                                             

venerdì 23 gennaio 2015

LUNGOLAGO "G.ZANARDELLI" DI MADERNO



Percorrendo ora il lungolago di Maderno, dedicato a Giuseppe Zanardelli, illustre statista dell’800 che costruì la sua villa in località Bornico ,la quale è attualmente in dotazione all’ANFAS, nemmeno ci si può immaginare com’era questo lembo di terra prima del Novecento.
Da un inventario delle strade comunali di Maderno, datato 1° agosto 1840 e firmato dall’Ing.Novelli, si rileva che a quel tempo, fra le altre, esisteva una strada denominata “Strada della crocetta ed anco del Ruellino o Revellino” della lunghezza di metri 2663. Questa partiva dalla strada postale o Regia in contrada Pozzo al Borgo (dove ora si trova una privativa , una forneria ed una macelleria) e dirigendosi attraverso i campi con una stretta stradina (attuale Via Vitali e Via Foscolo) giungeva fino al “piedestallo della crocetta” (località Bolsem). Da qui, girando a destra, costeggiava il lago (attuale lungolago) e giungeva al Brolo Revellino, punto in cui si trova ora il porto. Da questo punto si divideva in due parti, una seguiva la spiaggia e giungeva alla torre comunale (attuale campanile della chiesa Parrocchiale), l’altra, invece, deviava a destra passando dietro il predetto Brolo (attuale Via F.lli Bianchi) e giungeva anch’essa alla torre comunale e da qui si raggiungeva l’angolo sud-ovest della Basilica romanica di S.Andrea dove terminava.
Il citato “Brolo” un tempo chiamato “pratum episcopi” o prà del Vescovo, era un terreno che doveva essere tenuto dal Vescovo a disposizione dell’esercito imperiale. Dopo il Seicento entrò a far parte delle proprietà Gonzaga. Estinta questa famosa famiglia, il terreno fu suddiviso e venduto in tanti lotti.
La strada sopra descritta, che in parte assorbe l’attuale lungolago, si chiamava “della Crocetta e del Rivellino” poichè in località Bolsem esisteva un frammento di colonna romana, probabilmente recuperato negli scavi della villa romana di Toscolano sulla quale, nei secoli scorsi, era posta una croce da parte dei frati Domenicani stanziati nell’Abbazia di Via Religione.
Questo punto era la meta delle loro frequenti processioni che partivano dall’Abbazia in Via Religione e attraverso un guado sul torrente in località “Garberia” giungevano in questa località (Bolsem). “Rivellino” si riferisce invece ad un’opera fortificata che fu eretta a difesa dell’antico castello e che si trovava appunto nel citato Brolo il quale ha preso questo nome.
Agli inizi del Novecento iniziano i primi lavori di modifica di questa strada. Per prima il cosiddetto “bacino della fossa”, parte della fossa che circondava l’antico castello che giungeva fino alla base del campanile, fu interrato essendo divenuto un deposito di rifiuti maleodoranti.
Nel 1902 fu costruito il primo tratto di lungolago che dalla Piazza raggiungeva l’imbarcadero, evitando così di girare intorno alla chiesa per raggiungere lo stesso.
Nel 1906 fu costruita la casa del battellante con locale per vendita biglietti e sala d’aspetto dei passeggeri, in sostituzione di una baracca in legno che aveva la funzione di biglietteria. La casa
 del battellante fu demolita nel 1962 per far posto a quella attuale, che nel 1965 è divenuta un’abitazione privata.
Nel 1915 fu appaltata la costruzione del resto del Lungolago dall’attuale porto fino al “Bolsem”, in sostituzione della piccola stradina esistente. Opera che si prolungò nel tempo causa la guerra.
Per quanto riguarda lo sviluppo alberghiero in questa zona, che sarebbe stato ideale, è sempre rimasto, invece, molto limitato. Si ricorda che uno dei primi edifici sorti verso la fine dell’Ottocento, fu la villa Margherita che nel 1908 circa si trasformò nell’Hotel Bristol il quale funzionò fino circa agli anni trenta. Nel 1924 quest’edificio fu ristrutturato ed allargato. Dal 1928 fu chiamato “Casa Azzurra”, adeguandosi così alle norme fasciste dell’epoca che imponevano intestazioni in lingua italiana . Negli anni trenta l’immobile fu acquistato dal Consorzio Prov.le Antitubercolare di Cremona che lo destinò al soggiorno dei figli di contadini affetti da tubercolosi della stessa Provincia. Gli stessi erano assistiti dalle Suore Domenicane, alloggiate nella vicina villetta. Quando negli anni cinquanta questa malattia fu debellata, grazie ai nuovi farmaci, l’afflusso dei bambini diminuì fino a cessare completamente. Fu abbandonato fino al 2000 e ceduto poi all’Istituto Ospedaliero di Sospiro che dal 2002 al 2004 lo ricostruì di nuovo. Nonostante sia stato completato nel 2005, per ora non è stata ancora precisata la sua destinazione. Secondo l’ultima notizia, risalente alla fine di febbraio 2006, tale immobile dovrebbe essere adibito ad albergo di lusso.
Nei primi anni del Novecento sorsero sul lungolago l’Albergo Lignet (ora Istituto S.Cuore) in sostituzione di quello esistente nel “Serraglio, demolito dal nuovo acquirente Cav.Bianchi, nonchè l’Albergo Benaco. Nel 1925 fu costruito l’Albergo Milano e dal 1958 al 1977 fu in attività l’Albergo Villa Adele in località “Bolsem”. Infine, nel 1959, fu costruito l’Albergo Splendid.
La spiaggia libera prospiciente l’ex campo ippico, viene ora denominata “Lido verde. In questo campo, negli anni 1923 e 1924 furono disputate le prime gare ippiche. Dal 1963 al 1986 furono organizzati Concorsi Ippici Nazionali ai quali parteciparono i migliori cavalieri italiani di quell’epoca come i Fratelli D’Inzeo, Mancinelli e molti altri famosi
Fino agli anni sessanta, quando il lungolago fu asfaltato, per evitare l’innalzarsi della polvere causata dal transito di autoveicoli, il comune provvedeva all’inaffiamento della sede stradale per mezzo di un carro botte trainato da un asinello e condotto dall’operaio Zuanelli,(vedasi sottostante foto) caratteristico personaggio che svolgeva tale lavoro con in testa un gran sombrero.
Nel 1959 fu costruito ex novo il “Lido Azzurro” sulla spiaggia fra l’Istituto S.Cuore e l’Istituto Cremonese (ex Hotel Bristol). Nel 2004 la struttura provvisoria del Bar è stata sostituita da un decoroso immobile.
Nel 2003 ebbe inizio la completa ristrutturazione del lungolago, finanziata con i fondi della Comunità Economica Europea, riducendo allo stretto necessario la strada per i veicoli ed allargando la pista ciclabile, molto apprezzata da chi desidera transitarlo in bicicletta, oltre al rifacimento della pavimentazione della passeggiata e della sua illuminazione. Tale lavoro fu inaugurato ufficialmente il 26 settembre 2004.
Nel 2005 iniziò l’allargamento della passeggiata pedonale a lago dall’ex villa Cavallero fino al Bolsem. Tali lavori sono terminati nel 2006, prima della stagione estiva.
A completamento dei vari lavori inerenti il lungolago, è stato realizzato negli scorsi anni il collegamento con quello di Toscolano, superando la foce del torrente  con un ponte levatoio.

                                                                                                                 Andrea De Rossi

                                     foto (poco chiara) di Zuanelli quando innaffiava il Lungolago

                                      Ponte levatoio che unisce i lungolaghi di Maderno e Toscolano

                           

GRAZIOLO ANDREA - Celebre Medico XVI sec.

   

Già abitante nella casa del XVI secolo in Via Trento a Toscolano, dove ebbe sede, per oltre cento anni, al piano terra la Società del Casino,sciolta nel 1926 (club politico-culturale) ed al primo piano il teatro, diventato poi cinema, Zeni.
Il Graziolo si laureò in medicina all’Università di Padova nel 1553 e per un pò di tempo esercitò la sua professione in quella città. Nel 1548 si stabilì a Desenzano, nel 1551 si trasferì a Mantova dove rimase cinque anni per spostarsi poi a Salò. Nel 1567 venne chiamato nuovamente a Desenzano per curare, con successo, la “peste petecchiale” allora dominante, ottenendo con il suo metodo numerose guarigioni. Infine si trasferì a Montagnana (VR).
Sulla “peste petecchiale” e su altri argomenti di medicina ed altro, pubblicò numerose opere.
Il Graziolo temeva che Toscolano, sua patria d’origine, fosse confusa con Tuscolo o Frascati per cui scriveva sempre: Toscolano del Benaco o Toscolano di Salò.
Il Comune di Toscolano lo volle ricordare con una lapide posta nella Parrocchiale con questa iscrizione:

ANDREA DEL FU GERONIMO GRAZIOLI
MEDICO FILOSOFO DI VASTA E PROFONDA ERUDIZIONE
SCRITTORE ELEGANTE NELL’ITALIANA E NELLA LATINA FAVELLA
IN DESENZANO CURO’ LA PESTE PETECCHIALE 1567
COME DI TRATTEREBBE ATTUALMENTE DAI MIGLIORI
E NE SCRISSE UN LIBRO
STIMATO DAI CULTORI DELLE SCIENZE
ILLUSTRO’
A VICENDA E COMMENTO’ ARISTOTELE
GIUSTAMENTE ACQUISTANDOSI
ALTA ITALICA RINOMANZA


Da “Dizionarietto uomini illustri della riviera” pag.81 – di G.Brunati

                        Andrea De Rossi




136
GRISETTI

GIORGIO AQUILANI - BENEFATTORE





            Il violento terremoto del 24 novembre 2004 ha colpito anche la nostra chiesa romanica di Sant’Andrea tanto che ha costretto le Autorità competenti a dichiararla, momentaneamente, inagibile. In attesa che dopo i necessari interventi venga riaperta al culto, continuiamo nel nostro esame  dei suoi valori artistici e storici, fra i quali lapidi, sculture, quadri e pietre tombali
            In questa occasione ci occuperemo soltanto di una delle diverse pietre tombali sparse  sul pavimento della chiesa stessa. In alcune è ben visibile il nome del defunto ed in altre meno. Nell’interno dell’altare, attualmente dedicato a S.Lorenzo, mentre un tempo lo era a S.,Carlo, sul pavimento spicca quella dedicata a GIORGIO AQUILANI  che è quasi unita a quella dei Lancetta. Al centro di quest’altare si trova la pala di Andrea Bertanza e, sul lato sinistro, quella del bresciano Antonio Paglia che raffigura S.Filippo Neri, S.Carlo Borromeo, S.Gaetano da Thiene e S.Giuseppe
             Ci soffermeremo quindi su quella di GIORGIO AQUILANI, personaggio noto a Maderno, perché esiste una strada che porta il suo nome, sulla quale è incisa la data della sua morte: 20 luglio 1657.
            Alla luce di ciò che avviene oggi, ci si chiede come mai i defunti, e non tutti, venivano tumulati all’interno della Basilica e non nel Cimitero.
            Ritornando indietro nel tempo rileviamo che era costumanza seppellire i cadaveri nelle chiese. Queste sepolture erano però destinate soltanto al clero regolare o secolare che gestiva la chiesa e alle famiglie nobili, mentre i più poveri o i non appartenenti ad una delle citate categorie dovevano essere seppelliti all’esterno della chiesa. Infatti, ancora adesso, in occasione dei vari scavi che frequentemente sono effettuati ai lati della chiesa romanica, vengono scoperti antichi resti mortali.
 Fu Napoleone nel 1806 che proibì che si tumulassero i defunti in chiesa o all’esterno di essa per ragioni igieniche, ma non tutti rispettarono questa disposizione. Le chiese erano spesse volte invase dal fetore delle sepolture e quindi frequenti erano gli episodi di epidemie di colera. L’uso di seppellire i morti nelle chiese però andò avanti fino al XIX secolo quando i governi in carica ritennero necessario ed improcrastinabile risolvere i vari problemi legati all’igiene ed alla sanità pubblica per cui emanarono una legge sulla sanità pubblica che vietò l’inumazione dei cadaveri nelle chiese e ordinò che venisse costruito in ciascun comune un cimitero che doveva avere una distanza di almeno 200 metri dall’abitato.
Il nome di Giorgio Aquilani indicato sulla pietra tombale citata doveva quindi appartenere ad una nobile famiglia madernese. Così anche nella antica chiesa della Madonna di Benaco di Toscolano furono posti i resti mortali di Tamagnini, Turazza, Paganini, Grazioli, Bonetti, Lombardi, Andreoli, Belloni e Sgraffignoli tutti appartenenti a nobili famiglie di Toscolano.
            Da ricerche svolte risulta che Giorgio Aquilani appartenesse ad una delle famiglie più nobili e benestanti di Maderno, insieme ai Lancetta, ai Monselice ed ai Podestà. La figlia di quest’ultimo, Lucrezia, divenne poi sua moglie. Nel 1600 risulta essere stato un affittuario d’alcune proprietà appartenenti ai Gonzaga. Il merito maggiore di questa persona fu però quello di essere stato un gran benefattore. Fu per questo motivo che, verso la fine dell’Ottocento che il Comune di Maderno attribuì il nome d’Aquilani alla strada dell’Arco. Così fu chiamata questa strada perché esisteva un cavalcavia che collegava il palazzo Monselice (attuale condominioSperanza) alla dogana situata prospiciente al lago e dava la possibilità ai Monselice di scendere direttamente nel piccolo porto (davanti all’ex tipografia del Garda) dove approdavano e ormeggiavano le loro imbarcazioni. Detta strada era chiamata anche del Portone in quanto era l’unica che conduceva al portone d’ingresso a Maderno che si trovava in “Benela”, nei pressi del sentiero del Procc, ed era quella in cui aveva abitato l’Aquilani.
            L’Aquilani con il testamento datato 5 luglio 1647, che è trascritto in seguito, lasciò un curioso legato che poi fu gestito, finché rimasero i fondi, dalla locale Congregazione di Carità. Mia madre mi raccontò che anch’essa, nel 1909 quando si sposò, ne fu una beneficiaria.
 Fu in questo testamento che l’Aquilani chiese di essere tumulato nell’apposita arca della chiesa di S.Andrea, davanti all’altare di S.Carlo, dove si trova ancora attualmente.

TESTAMENTO 5 LUGLIO 1647 DI GIORGIO AQUILANI

Redatto presso il Notaio Thadeus Toninus a Morgnaga nella contrada Valle, assistito dai Notai Girolamo Martinello e Francisco Helena e da sette testimoni

Conoscendo il Mag.co sig, GIORGIO AQUILANI di Maderno fu del q. sig. Andrea essere la vita umana fragile e caduca, e desiderando mentre per grazia dell’Onnipotente Iddio si trova sano della mente, senso, intelletto ed anco del corpo disponere delle cose sue, però per il presente nuncupativo Testamento senza scritti ha disposto ed ordinato nel modo seguente.
Primieramente adunque con ogni atto di riverenza possibile ha raccomandato all’Altissimo Creatore l’anima sua ed alla gloriosissima V.M. e a tutti li Santi e Sante del Paradiso ed in particolare agli Santi suoi Avvocati ed alli quali porta particolare divozione Giorgio, Carlo, Erculiano e Francesco, pregandoli adesso per allora che vogliano assisterlo nel passaggio che doverà  fare l’anima sua da questa all’altra vita per impedire le tentazioni del demonio.
Al suo cadavero ha ordinato che sia dato sepoltura nell’Arca per esso fatta fabbricare avanti l’altare di S.Carlo eretto nella Archipresbitale di S.Andrea di Maderno nel coperchio della quale doverà farsi intagliare il giorno, mese ed anno nel quale ivi sarà sepolto. Al funerale debbono essere invitati tutti li R.R. Sacerdoti del Comune di Maderno e di Toscolano ed a quelli data la condecente elimosina; il cadavere debba essere accompagnato con dodici torze di cera bianca accese di una Lira e mezza l’una facendo l’esequie con quella maggior divozione possibile in suffragio dell’anima sua.
Subito seguita la morte di detto Sig. Testatore ha ordinato che nelle Chiese dei RR.PP. del Carmine di Salò e S.Bernardino siano celebrate ventiquattro Messe privilegiate da morto metà per cadaun loco applicando il Sacrificio di quelle in suffragio dell’anima sua e dè suoi peccati.
omissis
Delle rendite annuali debba farsi celebrare una Messa cotidiana perpetua da Rev. Sacerdote di bona vita, condizione e fama approbato dal Reverend.mo Ordinario di Brescia all’altare di S.Carlo eretto nella Archipresb. di Maderno applicando il sacrificio della Messa in remissione dell’anima sua e dè suoi peccati, delle defunti sig.ri suo Padre, Madre, Fratelli e della sig.ra Lucrezia sua Consorte e conforme la sua intenzione da essere eletto e condotto dalla detta Vicinia con li due terzi delle balle, la qual condotta debba durar per anni tre continui, con quella recognizione o salario che sarà condecente di tempo in tempo.
Eseguito quanto di sopra di quello  avanzerà di anno in anno delle entrate di esso sig. Testator ha ordinato che sia comperato sale e dispensato a’ poveri abitanti nella Terra di Maderno e nelle altre terre e Ville del Monte Maderno e nell’istesso Comune sino alla summa di Lire dieci per cadauna persona tanto grande, come piccola in remissione dell’anima di detto sig, Testator ed altri come avanti giusta la sua intenzione. Dichiarando che il Legato predetto in alcun tempo non possa mai essere commutato in altra sorte di elemosine o opere Pie, che nella dispensa di sale.
Il denaro che sopravanzasse, fatta la dispensa predetta, debba esser impiegato in maritar tante donzelle povere abitanti nel Comune di Maderno di bona vita, condizione e fama assegnandovi quell’elemosina che parerà agli infrascrittii sig.ri Commissari, e stabilita la summa di quanto si doverà dare ed anco a quante detti sig,ri Commissari debbano invitar le concorrenti e che da loro saranno stimate meritevoli,acciò il primo giorno di Quadragesima di cadaun anno debbano ascoltar la Messa del Rev. Sacerdote condotto per la Vicinia, e dopo udita la Messa con la presenza del Molto Rev. Arciprete che sarà per tempo debbano essere fatti bollettini eguali e sopra essi descritto il nome delle invitate e che saranno presenti alla Messa e data la sorte l’elemosina debba essere data alle prime che saranno estratte ed a quali fosse toccata la sorte, dovendosi maritar nel termine di un anno dal dì della loro estrazione, altrimenti non possano conseguir l’elemosina predetta, ma quella debba essere data a censo e l’utile ed entrata dispensarla nel modo che è ordinato delle altre entrate: Se veramente alcuna di dette donzelle avrà avuta la sorte per TRE volte nell’imbussolazione ed estrazione e nel termine dell’anno non si sarà maritata, non possa più essere imbussolata.
In evento che non vi fossero poveri nel Comune di Maderno a numero sufficiente, che con la dispensa del sale, e povere donzelle, che con l’assegno che venisse loro fatto come avanti non fossero capaci per impiegar tutto il danaro che si caverà dalle entrate di detto sig. Testator di anno in anno, ha ordinato, che tutto quello avanzerà debba essere impiegato in dispensa di sale ed in maritar donzelle nel Comune di Toscolano, in modo che non vi resti denaro sopravanzato, che possa entrar di un anno nell’altro.
Gli Commissari ed esecutori del presente testamento ed ultima volontà ha ordinato debbano essere eletti dei più atti, idonei, dabbene e sufficienti dalla Vicinia predetta di Maderno al numero di tre, quali debbano durar per anni tre e poi ne siano eletti altri in loro luogo e così  successivamente  a quali sii e s’intende adiudicato per applicazione delle loro fatiche scudi tre per cadauno, li quali Commissari non possano esser eletti se non dopo cessato l’usufrutto della predetta sig.ra Lucrezia sua moglie come di sopra sta dichiarato.
E mancando la Vicinia della terra di Maderno di eseguir le cose disposte ed ordinate nel presente testamento ex nunc pro ut est tunc l’ha exeredata ed exeredats e dichiara incapace d’alcuna successione, a quella in tal caso sostituendo il Comune di Toscolano quale sia tenuto far celebrare la Messa di sopra ordinata all’altare del S.Rosario, dispensar il sale, maritar le Donzelle, elegger i Commissari nel modo che è stato prescritto alla terra di Maderno.
Se anche detto Comune di Toscolano in alcun tempo mancasse di eseguir come avanti, ha sostituito e sostituisce a quello il Comune di Gardone con l’istesse obbligazioni e condizioni.
In qual mancando anch’esso nell’esecuzione delle cose premesse al medesimo ha sostituito e sostituisce il Comune più vicino ed a questo gli altri più vicini successivamente alla terra di Maderno per fideicomissum in perpetuo tutti i Comuni della Riviera.
omissis
Fu dunque fatto il presente testamento per il soprascritto sig. Giorgio essendo sentato sopra una cariega di noghera nel mezzadro terraneo della casa di me Nod.ro esistente nella Terrra di Morgnaga della contrada di Valle, così testando, disponendo ed ordinando nel modo predetto, letto però e pubblicato per me Nod.ro di suo ordine e commissione a chiara intelligenza di detto sig. Testator e dei Testi infr.
L’anno della natività di Nostro Signor Gesù Cristo milleseicentoquarantasette Indizion quintadecima, giorno di venerdì ai cinque di Luglio.”

                                                                                                 Andrea De Rossi








giovedì 22 gennaio 2015

REPERTO PREISTORICO RITROVATO A TOSCOLANO









Nel 1800, il sig. Domenico Visintini rinvenne sul greto del torrente Toscolano un importante reperto preistorico.
La notizia di questo ritrovamento c’è data da Piero Simoni di Gavardo ed è contenuta nel suo volumetto “Strumento di selce eneolitico da Toscolano”, che si può consultare presso la locale Biblioteca, notizia mai segnalata fra le pubblicazioni dei noti storici locali Donato Fossati e Guido Lonati.
Si tratta di un pugnale in felce purissima di colore grigiastro lungo 11 cm e mezzo e largo quattro che, per le caratteristiche tecniche di lavorazione, l'Autore attribuisce al periodo Eneolitico ; cioè quello che intercorre dalla metà del III° agli inizi del II° millennio a.C. quando l'uomo, insieme agli utensili in pietra, fece uso - anche se in modo non fondamentale - della nuova materia prima: il rame. Simili reperti sono stati rinvenuti anche sul Monte Covolo di Villanuova s/C ed a Remedello.
Il Simoni precisa che gli eredi del Geom.Carlo Visintini di Muscoline (fratello del noto psichiatra Fabio originario di Toscolano e scomparso alcuni anni fa), hanno da sempre tenuto il  reperto in cassaforte considerandolo un gioiello di famiglia. Su insistenza del Simoni lo hanno donato nel 1986 al Museo Civico Archeologico di Gavardo, al fine di evitare che il prezioso oggetto andasse disperso, accompagnandolo dalla seguente descrizione: "Cuspide di selce trovata nel 1800 da Domenico Visintini nel greto del torrente Toscolano, in località Religione (anticamente Grecenigo). Prestata all’ Esposizione di Preistoria e Archeologia di Brescia nel 1875, fu in seguito conservata dagli eredi del ritrovatore, a Muscoline".
Tale reperto si può osservare nella 2^ sala ( Neolitico) del Museo di Gavardo.
Ricordiamo che il ritrovatore Domenico Visintini, proveniente da Morgnaga di Gardone dove gestiva una chioderia, venne a Toscolano agli inizi dell'800 dove, nella valle delle Cartiere, installò un'officina per la lavorazione del ferro e contemporaneamente acquistò la residenza della "Religione".
Il Simoni conclude la sua descrizione domandandosi perché un simile strumento si sia potuto rinvenire sul greto del torrente Toscolano. Questo rimarrà sempre un problema irrisolto.
L'autore in ogni modo ipotizza che si possa riferire ad una sepoltura il cui corredo è stato travolto e trascinato dall'acqua, oppure che sia stato perduto da uno sconosciuto cacciatore alcuni millenni fa.
Con questo gesto civico la famiglia Visintini, donandolo ad un Museo per essere conservato, ha dato la  possibilità a chiunque di poterlo osservare e la certezza di una sua sicura conservazione.

                                                                                                         Andrea De Rossi




possibilità a chiunque di poterlo osservare e la certezza di una sua sicura conservazione.

mercoledì 21 gennaio 2015

VALLE DELLE CARTIERE, DEMOLIZIONE ROCCIA

                                Foto Fondazione Valle Cartiere

Lunedì 19 gennaio 2015, verso le ore 16, in Valle delle Cartiere, chiusa da tempo causa pericolo di frana, a cura dell'Amministrazione Comunale, sono state fatte brillare diverse mine, con oltre 100 Kg. di esplosivo per far cadere un tratto di roccia franosa che minacciava la strada sottostante.
La deflagrazione delle mine ha prodotto un distacco di circa 250 mc. di materiale roccioso che si è abbattuto sulla strada e, parte nel torrente Toscolano, togliendo così il pericolo che incombeva sulla stessa.
Ora, prima di aprire il passaggio sulla strada, si dovrà sgomberare il materiale roccioso caduto e porre in sicurezza la parete con apposite reti di protezione.

                                                                                                       Andrea De Rossi


                                             
                                         
                                        Foto Fondazione Valle Cartiere

sabato 17 gennaio 2015

RIFUGIO SPINO SUL MONTE PIZZOCOLO



           Ad alcune centinaia di metri dal Passo Spino sul Monte Pizzocolo di Maderno, in direzione sud-ovest, sorge il Rifugio Spino (mt.1154 s/m) dedicato alla memoria del Ten.Medico Giorgio Pirlo (medaglia d’argento) di Salò.
            Prima del 1915 era una casermetta della Guardia di Finanza, ma il C.A.I. di Salò, che gestisce il Rifugio, nel corso degli ultimi anni lo ha completamente ristrutturato e sopraelevato tanto che può disporre ora di ben 45 posti letto.
  Fu inaugurato ufficialmente nel 1967 e da allora si è sempre adeguato alle sopravvenute necessità. Ora il C.A.I. di Salò lo ha dato in gestione alla O.M.G. (Operazione Mato Grosso) che unisce l’accoglienza agli ospiti del rifugio con la solidarietà alle Missioni in America Latina. E’ aperto tutti i giorni fino al 31 agosto. Da settembre viene aperto nel week end e su prenotazione (Telef.0365/651177 – cell. 3496563266)

Oltre che da Toscolano Maderno il Rifugio è accessibile anche da Gardone Riviera. Un sentiero parte da S.Michele (mt.400) e in località Pirello s’inserisce in quello proveniente dai Navazzini e S.Urbano: C’è anche una strada sterrata che parte dalla Valle di Sör, ma s’interrompe sul confine fra Gardone e Toscolano-Maderno in località Pirello. Da qui ci s’inserisce nel sentiero n.8 che proviene da S.Urbano ed al bivio in località “Merle” si scende verso il Passo Spino per poi raggiungere il Rifugio.

                                                                                           Andrea De Rossi




martedì 13 gennaio 2015

LA CITTA' DI BENACO




Poiché si parla spesso dell’esistenza della Città di Benaco, ritengo opportuno trascrivere il testo di quanto pubblicò in merito lo storico locale Avv. Donato Fossati nel Vol.2° di “Storie e Leggende” nel 1944 a pag.46:
“L’esistenza e la comparsa della città di Benàco sono una grossolana leggenda che può essere sfatata anche alla vista superficiale della configurazione geologica della Riviera bresciana del Garda, ma per i paesi lontani e per le genti straniere possono passare per verità, poiché parecchi scrittori da secoli le hanno divulgate come tali, ripetendo una tradizione spuntata nel Medio Evo, cioè tra l’ignoranza, la superstizione e la facile credulità.
E’ vero che tra due centinaia di scrittori che parlano di cose benacensi e che toccano l’argomento cento e cinquanta relegano tra le fiabe la vicenda della città distrutta e sono questi gli storici critici più riputati, mentre altri ne dubitano, ma una trentina ammettono senz’altro il fatto e tra questi sono i bresciani, gli storici e cronisti locali, i più autorevoli e degni di fede agli occhi di molti, perché oriundi della regione, a conoscenza della località, in possesso di documenti, si suppone, e così si è potuto mantener viva una tradizione priva di fondamento, sorretta solo da cecità e forse anche da un falso spirito di amore al natìo loco, abbellito ed esaltato dalla fantasia dei poeti.
E’ vero ancora che da oltre cinquant’anni si è messa in chiaro l’origine della leggenda e dimostrato con prove esaurienti che al posto della sognata città vi fu una grandiosa e opulente villa romana, caduta in rovina per devastazioni e rapine all’epoca delle invasioni barbariche, ma tutto ciò non fu sufficiente a spegnere la fiaba e la fallace tradizione, poiché ancora le si sentono qua e là ripetere fuori della nostra plaga e accennare nelle guide illustrative del nostro lago.
Il fiume Toscolano, che nasce in valle di Vestino, in tempi antidiluviani sfociava al lago scendendo da una barriera di colline soprastanti, emissario di un bacino lacustre che occupava la valletta di S.Martino di Tours e ciò risponde a una realtà facilmente tuttora rilevabile; nella barriera si sarebbe improvvisamente determinata una frattura o spaccatura o per terremoto o per la spinta del bacino e apertasi una voragine, la massa dell’acqua e della materia precipitando avrebbe sommerso la sottostante città di Benàco posta dove ora vi è il paese di Toscolano. La catastrofe orrenda sarebbe avvenuta secondo alcuni dopo gli Etruschi, secondo altri imperante il divo Augusto, o l’imperatore Gondiano e secondo il nostro cronista frate Andrea da Toscolano del secolo XVII  prima dell’incarnazione del figliuolo di Dio.
Questa la leggenda.
Il fatto della fenditura del monte è certamente accaduto, poiché il fiume scorre ora ai piedi della forra e al posto del laghetto vi è la valle delle cartiere, ma invece di immaginare terremoti o cataclismi in epoca a noi relativamente vicina, dei quali naturalmente non si ha memoria, si deve pensare al lento lavorìo e all’erosione delle acque iniziati e compiuti in tempi talmente remoti, da ritenere che ancora non fosse allora comparso l’uomo primitivo delle caverne, oppure che ancora non si fosse ritirato il vasto ghiacciaio che copriva il lago. A formare poi il delta o promontorio, detto da noi Capra (campora) quale ora si vede e della stessa superficie a un di presso dell’età latina sono occorsi migliaia di secoli. Benàco è sì esistito, ma fu un vico, un paese etrusco di una certa importanza, perché allo sbocco della vallata del fiume Toscolano e perché il decorso delle acque consentiva la lavorazione del ferro e la confezione di strumenti agricoli, più tardi fu un pago romano salito in fama quando nel primo secolo vi prese stanza la famiglia dei Nonii-Arrii emigrata da Roma, la quale mutò il nome del paese in quello di Toscolano in ricordo e affetto dei colli toscolani popolati di ville del patriziato dell’Urbe. Edificò una villa monumentale colla fronte sul lago di 500 metri a partire dal
porto fino all’attuale poligono del tiro a segno, circondata da giardini, ippodromi, uccelliere, palestre alla greca, una costruzione di vastità e fasto babilonesi per la selva delle torri, pei templi, li arditi manufatti, i mausolei, i portici e i criptoportici, laboratori e rustici; e qui ebbe dimora fino alla sua estinzione caduta nelIV secolo. Trapassata tale proprietà nel demanio dei barbari dai Goti ai Longobardi e ai Franchi, nelle numerose irruzioni venne spogliata, devastata e diroccata, rimanendo sparsi sulle rive e nelle aree adiacenti e poi sepolti nei campi e nel lago avanzi preziosi di colonne, marmi, lapidi, busti, statue e ruderi d’ogni specie. I Vescovi bresciani, eredi del demanio Franco, trassero materiali per la costruzione del castello cinto da bastione, ora
casa colonica. Berardo Maggi edificò il palazzo vescovile adiacente e parecchi privati impiegarono nelle loro case molte di queste relique; più tardi ricerche praticate da studiosi e appassionati misero in luce altri avanzi che andarono ad arricchire il Museo di Verona, diversi palazzi della città stessa e parecchie case di Toscolano, dalle quali si rifornirono gli antiquari.
Sono persuaso che ancora oggi profondi scavi operati nei campi adiacenti alla prebenda e allo
Stabilimento Donzelli darebbero rilevanti e insperati risultati
Omissis …………..
Come è nata la leggenda della città di Benàco?
I naviganti che nel Medio Evo approdavano al porto di Toscolano per ragioni di commercio e i pellegrini che affluivano periodicamente al Santuario della Madonna di Benaco, situato di   fianco e celebre in quei secoli, dovevano transitare vicino alla riva coperta di muraglioni diroccati e vedere tra la meraviglia l’immensa mole di rovine sparse lungo le aree adiacenti, tra le quali colonne, statue spezzate, marmi d’ogni colore, intonachi dipinti e lapidi scolpite di nomi e di abbreviature per essi indecifrabili ad eccezione della parola Benacenses posta in calce alle epigrafi; nasceva tosto in loro la persuasione che qui fosse esistita una città denominata Benàco distrutta dal terremoto o dalla improvvisa irruzione del fiume, che addensando un’immensa congerie di materiali alla foce e alle sponde avea formato poi l’ampio delta o promontorio. E s’accendevano e volavano sbrigliate le fantasie in epoca di così sordida ignoranza a immaginare grandiosi edifici, torri e templi, teatri e anfiteatri, terme e portici e palazzi, ornamento e magnificenza della scomparsa città. Così dalla leggenda si formò una tradizione, che i nostri storici locali e cronisti accettarono senz’altro, senza ricerche e senza nulla approfondire, senza documenti né prove, né indizi; più tardi storici eruditi di ogni paese, tra i quali il dottissimo marchese Maffei e il nostro Ottavio Rossi ed in seguito il Brunati e l’Odorici visitarono e studiarono i ruderi benacensi comprendendo tosto come la leggenda fosse un sogno e immaginando che in Benàco fosse esistita una villa romana di proprietà di qualche ricca famiglia o forse anche di qualche imperatore.
Ormai è certo ed è noto che la villa monumentale e sfarzosa fu edificata e abitata per tre secoli dalla storica famiglia dei Nonii-Arrii, imparentata colla Macrina del finitimo Maderno e altresì colla schiatta degli Antonini, restauratori dell’autorità imperiale e la celebre compagine famigliare si elevò nel mondo romano e bresciano non soltanto per le immense ricchezze e le alte aderenze, ma anche per rettitudine di vita, nobiltà di opere e per magistrature onestamente occupate.
Il nome Benàco è riapparso nel marzo del 1797 e fu dato dal Sovrano popolo bresciano al cantone di Salò, che ebbe la durata di otto mesi e fu incorporato nel Dipartimento del Mella dalla repubblica Cisalpina. Collo stesso nome storico e fatidico sarebbe stata ribattezzata la nostra città (Salò) pochi anni or sono, allorquando il Poeta del Vittoriale vagheggò di riunire tutte le sponde  del lago in una nuova provincia con a capo Salò fusa col finitimo Gardone. E il disegno si sarebbe tradotto in realtà, poiché nelle sfere dirigenti il prestigio e l’autorità del Comandante erano indiscussi, la sua parola ascoltata e perché chi più in alto lo teneva quale fedele amico e campione di patriottismo desiderava di accontentarlo. Infatti nel gennaio 1935 un progetto di legge in argomento veniva presentato in parlamento. L’avvenire della nostra città (sempre Salò) sarebbe stato assicurato quale centro politico amministrativo, fervido di vita culturale, artistica e turistica e il lago, che avrebbe visto affluire genti di ogni contrada attratte non soltanto dalla mitezza del clima e dal fascino del paesaggio, sarebbe stato davvero il lago degli italiani. Ma il poeta non fu compreso né assecondato e il progetto di legge fu lasciato cadere di fronte al tentennare e all’inerzia dei comuni interessati, interpretata come ostilità. Di questo deprecato fallimento la responsabilità non ricade sui miei concittadini (i salodiani per intenderci), che non furono interpellati, né ebbero la possibilità di far sentire la loro voce, ma su coloro che in quel turno di tempo si ritennero gli autorevoli rappresentanti di Salò e di Gardone, i quali anziché spingere lo sguardo nel futuro, si cristallizzarono nella nostalgia del passato e invece di predisporre sollecitamente e in concordia il piano della nuova città persero il tempo tra diffidenze e gelosie, tra accademie e logomachie.
Così il dado tratto dalla mano amica e protettrice di Gabriele D’Annunzio e non afferrato a suo tempo si è sepolto per sempre: le generazioni che ci seguiranno potranno per conforto e orgoglio vantare, come noi facciamo, il passato illustre della nostra città nel suo ciclo storico tramontato, ma senza speranze di ritorni e avranno rampogne e condanna verso coloro che per insipienza ne impedirono la risurrezione”.

                                                                                  Avv. Donato Fossati












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