venerdì 15 gennaio 2016

EMILIO BIANCHI ASTRONOMO MADERNESE






A Maderno una lapide, che quasi sfugge all'attenzione del pubblico, posta a pochi metri da terra sulla facciata  della casa in cui ebbe sede la Farmacia Podestini, tra una gelateria  e la Banca ricorda che:

IN QUESTA CASA EBBE I NATALI
E M I L I O    B I A N C H I
ASTRONOMO INSIGNE
ACCADEMICO
CHE AMO' LA PATRIA
E LA SUA AMATA MADERNO
26.6.1875     11.9.1941
L'AMMINISTRAZIONE COM.LE
17.9.1961

L'iniziativa partì dal Cav. Nino Gaoso, in quel tempo Sindaco di Toscolano-Maderno per onorare la memoria di questo grande madernese, un po’ dimenticato, ma che ebbe notevole successo nel campo dell'astronomia circa 80 anni fa.
            Nato a Maderno nel 1875 da Rocco e da Antonietta Avanzini, fu poco conosciuto dalla popolazione locale in quanto svolse gli studi elementari e superiori a Brescia e si laureò in Fisica all'Università di Padova nel 1898.
     Più noti localmente furono invece gli altri due fratelli che vissero a Maderno:   
- G. BATTISTA - Cavaliere al merito del lavoro. Fu anche Sindaco di Maderno e proprietario dell'omonimo palazzo in Via Aquilani (ora Hotel Golfo) e del Serraglio, noto benefattore locale per aver donato lo stabile (già occupato dalla Brigata dei Carabinieri) da adibire a "Casa di Ricovero per vecchi di Maderno" ed una consistente somma di denaro per costituire l'Ente Morale per la sua gestione, Ente che porta ancora il suo nome e che venne formalmente costituito nel 1921. Inoltre, nel 1917, finanziò la nuova pavimentazione della Chiesa Parrocchiale;
- ETTORE - Commendatore. Per diversi anni fu Direttore della Cartiera Maffizzoli e  ricoprì anche importanti incarichi amministrativi presso alcune grandi Società fra cui la Mondadori, prima di trasferirsi definitivamente a Dro. I non più giovani ricorderanno certamente che lo stesso, in occasione delle Cresime, aveva la particolare consuetudine di offrirsi quale padrino a decine di giovani (fra i quali ci fui anch'io) dando loro per regalo un libretto bancario sul quale vi era depositata una certa somma con l'intento che il beneficiario imparasse così a mettere da parte i suoi piccoli risparmi. Inoltre, dopo la cerimonia religiosa, offriva agli stessi un rinfresco che avveniva presso il Caffè Montini di Piazza Maderno, cosa veramente eccezionale per quei tempi, tanto che mi è tutt'ora impressa nella mente.
            A questi tre fratelli è stata anche dedicata la Via F.lli Bianchi (già Via Orti) che dalla Piazza scorre sul fianco sinistro della Parrocchiale e, oltrepassando il campanile, si restringe  giungendo  fino al Piazzale del traghetto.
            I meriti di Emilio Bianchi, nel campo dell'astronomia, furono notevolissimi se si pensa che circa un secolo fa le conquiste spaziali erano solo un sogno.
            Egli fu Accademico d'Italia, Accademico dei Lincei, Accademico Pontificio e membro di numerose Accademie e di Atenei. Dopo essere stato assistente presso l'Osservatorio di Padova e alla stazione astronomica di Carloforte in Sardegna, ebbe l'incarico della direzione dell’osservatorio del Collegio romano. Si recò spesse volte all’estero per ragioni di lavoro e diresse corsi di insegnamento presso l'Aeronautica militare partecipando al montaggio ed al collaudo delle nuove aereonavi, anticipando così l'esplorazione e i tentativi di conquista del cielo.
            Nel 1922 vinse i concorsi per la direzione degli osservatori di Milano e di Roma e, per ragioni personali, scelse quello di Brera a Milano. Lo potenziò in modo tale da portarlo al primo posto in Italia e lo dotò di una succursale a Merate, luogo libero da inquinamento atmosferico.
            Numerose furono le sue pubblicazioni sull'astronomia e gli studi apparsi su riviste scientifiche.
             Purtroppo nel 1936 gli morì una giovane figlia e, a breve distanza, anche la moglie. Il dolore di tali perdite indebolì la resistenza alla malattia che lo consumava da anni e la sera dell'11 Settembre 1941 morì nel suo osservatorio che egli stesso aveva creato ed avviato.
                Il 15 ottobre 1967 in occasione dell’intestazione di una strada a suo nome a Merate, nell’aula consigliare di quella città, fu commemorato e ne furono esaltate le sue doti di scienziato. Anche il comune di Milano gli ha dedicato una Via..







giovedì 14 gennaio 2016

CAMPIGLIO DI FONDO E LA POESIA DI DEABATE




L'amico Giovanni Saletti, esperto in informatica (fu colui che ha saputo rintracciare sul Web il quadro che Churchill fece nel golfo di Maderno nel 1949) anch'esso curioso- come tanti altri - di sapere a chi appartiene quel brano di poesia posto sulla casetta di Campiglio di fondo in quel di Toscolano, è riuscito ad ottenere il risultato sperato, non solo, ma anche l'intera poesia nella quale è contenuto il brano.
Lo stesso mi ha scritto:

Campiglio (Campèi) di Fondo e la poesia di Giuseppe Deabate
Nella valle di Campiglio, a 793 metri di altitudine, circondato dall’aspra mole del Pizzocolo, dello Spino e dello Zingla e dai verdi Pracalvis ed Alberelli, sorge il casale della malga di Campiglio (Campèi) di Fondo. Di proprietà demaniale e in gestione ad ERSAF, è stato recentemente ristrutturato e utilizzato come alpeggio dalla Scuderia Castello di Gaino.
Come il borgo di Campiglio di Cima e il più piccolo Campiglio di Mezzo, il casale di Campèi di Fondo ha le sue origini nel 1600, ed era tra i possedimenti della famiglia Andreoli da Armo, mandriani che in seguito fecero fortuna con l’industria cartaria a Toscolano.
Negli anni ottanta ho frequentato più volte la malga; mi ha sempre incuriosito la lapide murata sul lato dell’edificio che si affaccia sulla valle. Riporta i seguenti versi:
“E nella pace dell’immensa sera / l’anima solitaria si riposa / e in se stessa raccolta crede e spera / G. Deabate”.
Giuseppe De Abate nacque a San Germano Vercellese il 31.01.1857. Poeta e giornalista, lavorò come cronista alla Gazzetta del Popolo. Nel 1898 pubblicò il volume di poesie "Il Canzoniere del villaggio", ispirata dai ricordi di gioventù passati nel suo borgo natìo. Da quest’opera sono tratti i versi riportati sull’iscrizione della malga di Campèi. Il volume fu ben accolto all’epoca e diede al Deabate una certa fama che gli consentì di pubblicare sulle maggiori riviste italiane del tempo, non solo versi poetici ma anche opere di prosa. Morì a Torino il 15 marzo 1928.
Stando a quanto riferitomi dal signor Francesco Garbi di San Germano Vercellese, che ringrazio per la disponibilità, Giuseppe Deabate trascorse la sua vita in Piemonte da cui non risulta essere uscito neanche per brevi periodi. I luoghi che più frequentava e da cui traeva ispirazione per le sue innumerevoli poesie erano i monti del Biellese e la campagna vercellese. Non sembra esistere alcuna connessione tra il Deabate e la nostra zona. Sappiamo solo della sua amicizia con lo scultore Leonardo Bistolfi (1859-1933), che a Maderno realizzò il monumento a Giuseppe Zanardelli, conosciuto ai più come “la Bella Italia”.
Riporto qui di seguito il testo integrale della poesia “Tramonto invernale”:

TRAMONTO INVERNALE

Fumano su dall’acque addormentate
Vermiglie nebbie e gli ultimi orizzonti;
Dal novissimo sole illuminate
Scintillan le finestre e gli ardui monti;

Guizza pei campi, pei sentier, pei fonti
La nostalgia della morte estate,
Come ruga sottil su per le fronti
Da meste ricordanze addolorate.

Qualche passero sol fugge e si lagna
Cacciato dalla fame e dalla brezza….
E lungi per la squallida campagna.

Dove muore la voce e muore il verde…
Una lunga canzon di giovinezza
Melanconicamente si disperde.


Dalle siepi, dal suol, lungo il viale;
Pei nudi rami supplicanti il sole.
Un brivido di freddo umile sale….
Un desiderio di fiorite aiuole.

Dormono intanto nelle ardenti sale
Gli amor nati col marzo e le viole,
Dormono attorno attorno l’invernale
Sonno le piante ischeletrite e sole.

Cala la sera, e un senso di tristezza
Pesa sul mondo; tutto tace e posa
In una mesta e placida dolcezza….

E nella pace dell’immensa sera
L’anima solitaria si riposa
E in se stessa raccolta crede e spera



                                                            veduta di Campei di fondo

                                                                    La foto del poeta

lunedì 11 gennaio 2016

LA VALLE DELLE CARTIERE E IL MUSEO DELLA CARTA di Isabella Groppali


Ho ricevuto dalla sig.ra Isabella Groppali  di Cremona, figlia di un noto Avvocato, una e-mail contenente un interessante articolo sulla valle delle Cartiere e il Museo della Carta, che riproduco qui sotto.
Avendo la sig.ra Groppali una casa a Maderno, dove ha sempre trascorso le sue vacanze,si è affezionata a tal punto delle bellezze del nostro comune che ha ritenuto scrivere questo articolo su una rivista, a diffusione nazionale che fa da portavoce dell'Associazione onlus Pane Quotidiano che si occupa di fornire e distribuire pasti a chi si trova in estrema difficoltà.


Buongiorno Signor De Rossi,

come le avevo anticipato e promesso, Le invio , allegata a questa mail, la rivista Che Vi Do, sulla quale ho pubblicato l’articolo sulla Valle delle Cartiere e il Museo della Carta.
Non è sicuramente ben documentato, come i pezzi che confeziona Lei, ma mi sono lasciata guidare dal cuore, verso un territorio che amo tanto. La rivista poi, facente capo all’associazione Pane Quotidiano, ha una tiratura di 13000 copie e con la sua distribuzione porterà a conoscere il territorio ed i suoi pregi.

Nel salutarLa , colgo l’occasione per farLe i miei migliori auguri per questo nuovo anno appena incomInciato, perchè abbia in n serbo per Lei serenità e salute. E per noi.... tanti nuovi articoli che vorrà scrivere sul “nostro” amato paese e la sua storia

Molto cordialmente

Isabella GroppalI


La Valle delle Cartiere e il Museo della Carta
Il nostro Paese è così ricco di bellezze naturali e di testimonianze storiche e artistiche da essere universalmente conosciuto, amato ed apprezzato. Ma al di là dei luoghi e dei monumenti che tutto il mondo conosce ed ammira, è anche sorprendentemente capace di offrire incantevoli paesaggi “minori”, non meno ricchi di fascino
e meritevoli di essere visitati.
E’ questo il caso della ” Valle delle Cartiere”, ubicata sulla sponda bresciana del lago di Garda nel comune di Toscolano Maderno
in questo luogo la tradizione cartaria era iniziata agli albori del 1300.
E' del 1381 infatti un documento notarile conservato in cui si regolamentava l'utilizzo delle acque, il che fa supporre che l'attività fosse presente sul territorio ben prima di quella data, ad opera di artigiani probabilmente proveninti dal Veneto. Nel Quattrocento sono stati documentati stabilimenti in numerose località, dal lago al monte della valle e fino al XVI secolo la zona ebbe importanza primaria fra i territori della Repubblica Veneta divenendone il primo polo cartaio grazie all'eccellente qualità della carta prodotta, molto chiara, resistente e adatissima alla stampa.
Fino ad allora infatti l'attività cartaria di Toscolano aveva convissuto alla pari con altri centri di produzione di carta da scrittura, ma dopo il 1470,conl’iniziodell’utilizzo                                dei caratteri mobili e con l’aumento della richiesta di carta da stampa, le cartiere della valle ebbero il primato di una produzione di qualità insuperata, tanto da raggiungere anche il mercato dell’Oriente. Il periodo di floridezza - esistono documenti del 1608 che contano ben 160 “ruote da carta”- si interruppe bruscamente a causa dell’epidemia di peste che a metà del XVII secolo portò al collasso la quasi totalità dell’attività cartaria. La manodopera fu decimata, dato che perì circa la metà degli abitanti di Toscolano e di Maderno, e le cartiere vennero abbandonate, anche per la convinzione che gli stracci, materia prima per la produzione della carta, fossero un veicolo di contagio.
Si dovette arrivare agli inizi del Settecento perché la zona si ripopolasse, perché si ricreassero le figure professionali e le condizioni per ricominciare a produrre. Sul finire del secolo tuttavia, agli albori dell’industrializzazione, i cartai di Toscolano, troppo legati ai metodi artigianali ,ormai superati, si mostrarono restii all’introduzione di macchinari innovativi, non furono in grado di rimanere al passo coi tempi, e percorsero la via di un inevitabile
declino che nel corso dell’Ottocento portò alla chiusura di numerose cartiere.
Pochi imprenditori ebbero la lungimiranza di modernizzarsi,
adattando i loro stabilimenti all’uso dell’energia elettrica a sostituzione della forza motrice dell’acqua, spostandoli in prossimità del lago, in posizione più strategica per i collegamenti ed i trasporti, ma causando in questo caso lo spopolamento e il declino della valle. Delle 50 e più cartiere un tempo attive, oggi rimane solo qualche
struttura, inglobata dalla lussureggiante vegetazione che
è tornata a riappropriarsi degli spazi che l’industria le  aveva sottratto, e rimane solo qualche rovina immersa nel verde a testimoniare un fervido passato. Il paesaggio che ne deriva tuttavia costituisce oggi una fra le più importanti aree archeologico -industriali italiane, nonchè uno degli ambienti più originali nel territorio del Parco Alto  Garda Bresciano. Da alcuni anni inoltre un gruppo di volontari ha cercato di prendersene cura contrastandone
l’abbandono e grazie alla partecipazione dell’Amministrazione
Comunale, ha favorito l’avvio di un ambizioso progetto di recupero finalizzato a rivalorizzare l’ambiente e le testimonianze che la storia ha lasciato su di esso. Dal 2008 la Valle delle Cartiere di Toscolano Maderno ha infine ottenuto dalla Regione Lombardia il riconoscimento di “Ecomuseo”, grazie alle sue peculiarità naturalistiche, storiche e culturali.
Il paesaggio è suggestivo, difficilmente immaginabile per chi conosce e percorre la vicinissima strada litoranea
dai panorami abbaglianti e dal traffico purtroppo molto
spesso rumoroso e caotico. Lasciando la strada statale e
curvando all’altezza del ponte di Toscolano, in corrispondenza
del bivio per il paese di Gaino, si imbocca la via per la valle percorsa dal torrente Toscolano, le cui acque impetuose avevano per secoli resa possibile la fiorente attività cartaria. Da subito i colori si fanno più discreti, gli azzurri e i blu cobalto del lago lasciano il posto ai verdi ombrosi della fitta vegetazione, cambiano i profumi e si viene accolti dal silenzio, accarezzato dal gorgoglio del
torrente che scorre in basso, fra massi e pozze turchesi. sulla sponda bresciana del lago di Garda, nel comune di Toscolano Maderno. In questo luogo la tradizione cartaria era iniziata agli albori del 1300.
E’ del 1381 infatti un documento notarile conservato in cui si regolamentava l’utilizzo delle acque, il che fa supporre che l’attività fosse presente sul territorio ben prima di quella data, ad opera di artigiani probabilmente provenienti dal Veneto. Nel Quattrocento sono documentati stabilimenti  in numerose località, dal lago a monte della valle e fino al XVI secolo la zona ebbe importanza primaria fra i territori della Repubblica Veneta, divenendone il
primo polo cartario grazie all’eccellente qualità della carta prodotta, molto chiara, resistente e adattissima alla stampa.
Fino ad allora infatti l’attività cartaria di Toscolano aveva convissuto alla pari con altri centri di produzione di carta da scrittura, ma dopo il 1470, con l’inizio dell’utilizzo dei caratteri mobili e con l’aumento della richiesta di carta da stampa, le cartiere della valle ebbero il primato di una produzione di qualità insuperata, tanto da raggiungere anche il mercato dell’Oriente. Il periodo di floridezza - esistono documenti del 1608 che contano ben 160
“ruote da carta”- si interruppe bruscamente a causa dell’epidemia
di peste che a metà del XVII secolo portò al collasso la quasi totalità dell’attività cartaria. La manodopera fu decimata, dato che perì circa la metà degli abitanti di Toscolano e di Maderno, e le cartiere vennero abbandonate, anche per la convinzione che gli stracci, materia prima per la produzione della carta, fossero un
veicolo di contagio.
Si dovette arrivare agli inizi del Settecento perché la zona si ripopolasse, perché si ricreassero le figure professionali e le condizioni per ricominciare a produrre. Sul finire del secolo tuttavia, agli albori dell’industrializzazione, i cartai di Toscolano, troppo legati ai metodi artigianali ,ormai superati, si mostrarono restii all’introduzione di macchinari innovativi, non furono in grado di rimanere al passo coi tempi, e percorsero la via di un inevitabile
declino che nel corso dell’Ottocento portò alla chiusura di numerose cartiere.
Pochi imprenditori ebbero la lungimiranza di modernizzarsi,
adattando i loro stabilimenti all’uso dell’energia elettrica a sostituzione della forza motrice dell’acqua, spostandoli in prossimità del lago, in posizione più strategica per i collegamenti ed i trasporti, ma causando in questo caso lo spopolamento e il declino della valle. Delle 50 e più cartiere un tempo attive, oggi rimane solo qualche
struttura, inglobata dalla lussureggiante vegetazione che è tornata a riappropriarsi degli spazi che l’industria le aveva sottratto, e rimane solo qualche rovina immersa nel verde a testimoniare un fervido passato. Il paesaggio che ne deriva tuttavia costituisce oggi una fra le più importanti aree archeologico -industriali italiane, nonchè uno
degli ambienti più originali nel territorio del Parco Alto Garda Bresciano. Da alcuni anni inoltre un gruppo di volontari ha cercato di prendersene cura contrastandone l’abbandono e grazie alla partecipazione dell’Amministrazione Comunale, ha favorito l’avvio di un ambizioso progetto di recupero finalizzato a rivalorizzare l’ambiente e le testimonianze che la storia ha lasciato su di esso. Dal 2008 la Valle delle Cartiere di Toscolano Maderno ha infine
ottenuto dalla Regione Lombardia il riconoscimento di
“Ecomuseo”, grazie alle sue peculiarità naturalistiche, storiche e culturali.
Il paesaggio è suggestivo, difficilmente immaginabile per chi conosce e percorre la vicinissima strada litoranea dai panorami abbaglianti e dal traffico purtroppo molto spesso rumoroso e caotico. Lasciando la strada statale e curvando all’altezza del ponte di Toscolano, in corrispondenza del bivio per il paese di Gaino, si imbocca la via per la valle percorsa dal torrente Toscolano, le cui acque impetuose avevano per secoli resa possibile la fiorente
attività cartaria. Da subito i colori si fanno più discreti, gli azzurri e i blu cobalto del lago lasciano il posto ai verdi ombrosi della fitta vegetazione, cambiano i profumi e si viene accolti dal silenzio, accarezzato dal gorgoglio del torrente che scorre in basso e pozze turchesi
.Già all’ingresso della valle spuntano dal verde i ruderi di un’antica cartiera in rovina. Ci troviamo nel sito di Garde, il cui nome, come altri toponimi simili di orgine germanica, suggerisce il “luogo di osservazione”, o la “postazione di controllo” e di fatto ci si trova all’imboccatura della valle. E’ possibile arrivare con la macchina
fino ad un poco lontano spiazzo parcheggio, ma in realtà la passeggiata , sia a piedi che in bicicletta è deliziosa e poco stancante. Per chi non disdegnasse un mezzo di trasporto un po’ pittoresco è anche a disposizione un trenino, che partendo da Maderno fa raggiungere il sovrastante Museo della Carta.
L’imboccatura della valle esordisce con una ripida e spettacolare forra, una spaccatura violenta fra i rossi e fitti strati rocciosi di scaglia lombarda, che denuncia la straordinaria forza erosiva del torrente che per secoli si è fatto strada tagliandola, per andare poi a riversarsi a lago, trasportando quei detriti che via via sedimentandosi hanno creato la solida penisola su cui si estendono
Toscolano e Maderno, due centri un tempo autonomi, geograficamente divisi dal corso del torrente, che dal 1928 si
sono fusi in un unico comune.
Oggi la portata dell’acqua è stata grandemente ridimensionata
dalla diga di Ponte Cola in Valvestino, ed anche la cascata adiacente la forra, pur rimanendo spettacolare per la sua verticalità, non scende più con l’impetuosità di un tempo.
La strada che va salendo prosegue in pigre curve e poca
pendenza ,addentrandosi a tratti in alcuni stretti tunnel, strappati alla montagna dall’evidente fatica di braccia e picconi e che alla fine della loro fresca ombra fanno riemergere nella liquida luce verde dei pendii cosparsi di aerei capelvenere, di lussureggianti felci e della rara pinguicola, una delle poche piante “carnivore” dei nostri ambienti, che in questo luogo , grazie al costante stillicidio che la irrora e all’ambiente riparato, trova un ideale habitat.
La strada fu realizzata fra il 1871 e il 1878, per iniziativa
di alcuni proprietari delle cartiere, e favorì il raggiungimento
degli stabilimenti per coloro che vi lavoravano e li dovevano raggiungere dalle frazioni circostanti. Prima che fosse percorribile, infatti, si potevano utilizzare solo dei fortunosi camminamenti, fra cui il cosiddetto “sentiero delle assi”, costituito di aerei ponticelli, sospesi a tratti fra le due rive del torrente, molto pericolosi nei periodi di gelo in quanto privi di qualsiasi sponda o protezione.
Superato lo spiazzo parcheggio della località Quattroruote - il cui toponimo denuncia la passata presenza di una cartiera dotata di quattro ruote idrauliche, documentata già nel Quattrocento - e sorpassata la località di Lupo, che parimenti ospitava uno stabilimento coevo e il cui nome deriva dall’antico avvistamento di lupi nella zona- si arriva finalmente a quella che potrebbe essere la meta della gita in valle, ovvero al Centro di Eccellenza di Maina Inferiore ed al suo Museo della Carta, anche se il percorso potrebbe continuare, a tratti scandito dai resti delle antiche cartiere, alcuni ancora ostaggio della fitta vegetazione, altri grandemente significativi, lungo il corso del torrente.
Il complesso risale al XV secolo e fu successivamente ampliato fino ad assumere, alla fine dell’Ottocento la fisionomia che l’ha caratterizzato fino alla chiusura della sua attività, nel 1962. Vi erano annesse diverse abitazioni per i dipendenti e per il direttore della cartiera, oltre a parti di servizio quale una portineria ed una cucina che forniva una mensa agli operai. Nel 2001 iniziarono i lavori
di recupero dal degrado a cui l’abbandono l’aveva sottoposto,
e ad opera di un appassionato gruppo di volontari
dell’Associazione Lavoratori Anziani della Cartiera di Toscolano, si promosse il ripristino dell’ intero complesso, destinato ad ospitare il Museo della Carta, e si creò il primo nucleo di quel tutt’uno che è giunto a meritare, fra il 2005 e il 2007 la qualifica di” Centro di Eccellenza e incubatoio di impresa dedicato alla filiera carta stampa”, e nel 2008, assieme all’intera valle e a tutto il territorio
comunale, la denominazione di “Ecomuseo”, ovvero di museo a cielo aperto, per preservare e trasmettere unpatrimonio storico e ambientale di notevole valore.
Il percorso museale accompagna il visitatore lungo le tappe della lavorazione della carta fin dai suoi esordi in valle, dalla iniziale fase della cernita degli stracci, materia prima di produzione dal Medioevo fino al’Ottocento, quando si iniziò ad utilizzare la pasta di legno.
Dal momento che l’operazione non richiedeva particolare forza fisica o abilità, veniva affidata alla manodopera

Storia di Toscolano-Maderno

femminile ed ai bambini – si poteva essere ammessi a lavorare in cartiera già dagli otto anni - che li smistavano in base alla loro composizione, al colore, alla consistenza ed in seguito li tagliavano in pezzi minuti, tramite cesoie o falcetti.
Gli stracci così sminuzzati venivano quindi immersi in vasche di pietra colme d’acqua e calce, la quale aveva la funzione di sbiancare, di disinfettare e di accelerare il processo di macerazione. Questo durava una ventina di giorni e l’odore forte e pungente, assieme alle esalazioni della calce, minavano rapidamente la salute di chi vi era addetto.
Le vie respiratorie venivano gravemente intaccate, tanto che raramente, chi lavorava in cartiera, a causa anche della lunga sequela di ore di lavoro massacrante in ambiente malsano e della generale malnutrizione, raramente superava i 35, 40 anni di età. L’ambiente costantemente umido inoltre, per l’uso dell’acqua in gran parte delle fasi della lavorazione, causava ulteriori disagi.
Era d’obbligo per esempio l’uso di zoccoli aperti in punta, perché l’umidità costante avrebbe altrimenti infettato con muffe e funghi i piedi dei lavoratori, i quali erano per questo invitati ad asciugarsi spesso con gli stracci che in cartiera non mancavano. E trattandosi di tessuti sicuramente settici, le patologie si dovevano fatalmente
moltiplicare.
Dopo la macerazione gli stracci venivano posti in vasche dette “pile” fatte di legno o pietra e quindi pestati con grossi magli in legno, mossi da una ruota idraulica posta all’esterno dell’edificio. I magli si alzavano e abbassavano, battendo ritmicamente sugli stracci macerati fino a ridurli in una pasta fine e densa, detta “pistò” , che veniva messa successivamente a decantare in vasche di pietra. Il rumore prodotto dai magli , amplificato dai bassi locali in cui si trovavano doveva essere assordante, soprattutto se pensato moltiplicato per tutte le cartiere che contemporaneamente svolgevano il loro lavoro, tanto che la valle veniva chiamata “la valle del rimbombo”, e le prime guide turistiche del luogo, edite a metà dell’Ottocento, veniva descritta come “un orrido bizzarro di
un estetico meraviglioso”, ma si parlava anche di un “cupo rumoreggiar di tuono”.
La poltiglia di stracci veniva poi versata nelle “tine”,
ampi recipienti di legno a forma circolare, presso le quali iniziava il lavoro più specializzato nel processo di fabbricazione della carta, svolto ad opera dei mastri cartai, o “lavorenti”, che creavano il foglio vero e proprio, pescando la poltiglia con una forma di legno. Accanto a lui un “ponitore” estraeva successivamente il foglio ottenuto per adagiarlo su un feltro che ne avrebbe assorbito l’acqua in eccesso. Questi operai specializzati godevano di rispetto e prestigio, all’interno della filiera, e spesso si tramandavano l’arte di padre in figlio, quando non erano i soli a ricevere un salario,dal momento che i vari operai lavoravano praticamente solo per garantirsi il minimo sostentamento alla vita.
Tutte queste operazioni, assieme a quella successiva della torchiatura dei fogli intercalati dai feltri, per toglie-
re più acqua possibile, venivano svolte in locali detti “fondaci", situati nei piani inferiori delle cartiere e disposti in sequenza, in modo da ottimizzare il lavoro e che, a causa del continuo utilizzo dell’acqua, quindi dell’umidità costante, dovevano essere malsani, maleodoranti e freddi in inverno, in cui gli operai lavoravano in condizioni estreme.
Un po’ meglio andava ai piani superiori, dove i fogli dopo la torchiatura venivano inviati per essere appesi ad
asciugare su specifiche rastrelliere, poste accanto a pareti con ante di legno mobili, affinchè si potesse dosare l’afflusso di aria, addattandosi al clima e alle stagioni.
Aria troppo calda avrebbe fatto accartocciare i fogli e troppa umidità avrebbe tardato la loro asciugatura, rovinandoli.
Una volta asciutti subivano una nuova operazione, la “collatura”, venivano cioè passati velocemente in calderoni ricolmi di colla animale, che conferiva loro l’impermeabilità necessaria a non fare sbavare l’inchiostro.
Dopo un’ulteriore asciugatura i fogli venivano lisciati con l’ausilio di piccoli magli, infine impilati in precise risme e una volta imballati erano pronti per essere trasportati a fondovalle.
Alla cartiera di Toscolano si lega anche il nome di una delle famiglie più note nel mondo della carta e della stampa fra il Quattrocento e il Cinquecento, I Paganini. Originari di un piccolo borgo della campagna bresciana, esordirono nell’attività tipografico editoriale a Venezia, alla fine del XV secolo. Il capostipite, Paganino Paganini aprì poi bottega da solo, coadiuvato dal figlio Alessandro, il quale mostrò presto una notevole abilità come disegnatore e incisore di caratteri. Nel 1517 lasciarono la Laguna e trasferirono la loro attività a Toscolano. Si erano sempre mostrati fieri delle loro origini, tanto da definirsi, in più occasioni, “brixiensis”, ma più probabilmente avevano considerato che trasferendosi direttamente sul luogo della produzione della carta avrebbero abbattuto notevolmente i costi. Alessandro fu un editore estroverso e ricco di iniziativa, tanto è vero che si distinse per l’invenzione del “ventiquattresimo”, un formato di libro minuscolo, da tenere in mano, a passeggio o durante gli incontri mondani, che divenne grandemente in voga nelle corti dell’epoca, in quanto conferiva distinzione, fungeva da ornamento – un libro all’epoca era prezioso quasi quanto un gioiello- e suggeriva raffinatezza e cultura.
Ma l’impresa senz’altro più spregiudicata e ambiziosa di Alessandro Paganini fu l’edizione a stampa del Corano in arabo, mai prima tentata in Occidente, e che segnò anche, nel 1538, la fine della sua avventura tipografica.
Lo impegnò per parecchi anni, perché la realizzazione dei caratteri fu complicata e onerosissima, ma disastrosa fu l’accoglienza del Corano in terra islamica, ove si considerò un sopruso che il sacro testo fosse stato riprodotto meccanicamente a stampa, quando per secoli era stato affidato alla sola riproduzione manoscritta. Pare inoltre che fossero presenti parecchi refusi, che andarono a peggiorarne l’accoglienza. La leggenda racconta che tutti i volumi furono caricati su una nave, che una volta condotta in alto mare fu affondata con tutto il suo sacrilego carico.
C’è chi aggiunge che anche Alessandro Paganini andò ad accompagnare le sue disprezzate opere, ma non è dato saperlo con certezza, fatto sta che forse solo per la delusione del fallimento della sua iniziativa, di Alessandro si persero tutte le tracce.
Queste le storie, comuni e personali che ebbero il loro svolgersi nella Valle delle Cartiere.
Una storia che parla di imprenditorialità, in un luogo in cui il progresso ha fatto le sue conquiste, e dove fra quelle che oggi appaiono per lo più come rovine la vita è stata fervida e operosa.
Ma più di tutto parla la storia di uomini, donne e bambini che nei tempi più antichi dell’attività delle cartiere,
per garantirsi una sopravvivenza hanno camminato in bilico sui sentieri delle assi, han tuffato le braccia fra gli stracci e l’acqua perché dal loro lavoro uscisse qualcosa di bello e nobile.
Tutt’oggi esiste a Toscolano Maderno una cartiera attiva sulla riva del lago, che anche se la modernizzazione
non fa più risuonare col rimbombo dei suoi magli, costituisce
fonte di impiego per un largo bacino di lavoratori.



ISABELLA GROPPALI


                                           Il Museo della carta nell'ex cartiera Maina Inferiore

giovedì 24 dicembre 2015

LA PIAZZA DI MADERNO CON LA STRADA NON ASFALTATA



L'immagine, come si nota, porta la data del 7.4.1907, ma risale certamente agli inizi del 1900.
In primo piano, a destra,si nota la statale con le rotaie del tram che non è ancora asfaltata e quindi, dopo uno scroscio di pioggia diventava  come una strada di campagna.
A destra dell'ingresso al Municipio di Maderno si nota il "Caffè Ristorante Centrale", mentre quello che ora porta lo stesso nome, in quel tempo si chiamava "Caffè Ristorante Maderno".
All'ingresso al cortile della canonica esiste ancora il muro che fu demolito nel 1905.
Davanti al Municipio vi è una guardia in divisa, mentre un gruppetto di uomini stanno chiaccherando sugli scalini della colonna di S.Marco.
Turisti non se ne vedono, però la cartolina fu spedita, senza dubbio, da uno straniero.

mercoledì 23 dicembre 2015

UNO SCORCIO DELLA STRADA PROV.LE NEL 1900



La foto sopra riprodotta risale al 1900, quando era appena terminata la costruzione della nuova strada provinciale a lago (ora Statale) in alternativa a Via Aquilani.
Si notano ancora due caselli nei quali, in quel tempo, era custodito tutto il materiale occorrente per coprire d'inverno le limonaie. Uno si trova dove ora sorge l'Albergo Bel Soggiorno e l'altro, in alto a sinistra, nel quale nel 1925 fu costruita la villa Carrobbio.
Interessante osservare, fra le case Dubbini e Simonelli, un grande ingresso che collegava la strada provinciale con Via Aquilani: Nella stessa Via Aquilani sono tutt'ora murati due piccoli paracarri dove c'era l'ingresso. E' da immaginare che si tratti di un passaggio che dava agli abitanti della citata via Aquilani (allora via dell'Arco) la possibilità di raggiungere il lago da parte delle lavandaie.

mercoledì 16 dicembre 2015

IL TRAM A MADERNO NEL 1901



Era il 22 settembre 1901 quando il tram giunse per la prima volta a Maderno. A quel tempo erano stati da  poco completati i lavori della nuova strada a lago (l'attuale Statale) che sostituì la strada regia (Via Aquilani). Da tempo era atteso quest'importante avvenimento che avrebbe collegato la riviera bresciana del Garda a Brescia.
Nel 1881 la Società Belga Tramway a vapore costruì il primo tratto Brescia-Rezzato, successivamente prolungato fino a Salò nel 1888, con derivazione per Barghe e Nozza dai Tormini.
A Toscolano giunse,invece, nel marzo 1902 e restò capolinea fino al 1922, anno nel quale fu raggiunto anche Gargnano.
Per quel tempo fu davvero un fatto eccezionale. Con l'introduzione  della nuova linea il capoluogo divenne notevolmente più vicino.Per arrivare a Brescia, da Maderno, occorrevano soltanto due ore e 14 minuti, mentre per Salò il percorso durava 26 minuti.
La nuova linea tranviaria soppiantò quindi definitivamente il servizio della "diligenza celere" Brescia-Gargnano la quale funzionava già dal lontano 1843.
Le locomotive del tram funzionarono a vapore fino al 1912, anno in cui fu elettrificata la linea Brescia-Salò e poi quella che raggiungeva Toscolano. Il tratto fino a Gargnano fu elettrificato al momento della sua costruzione nel 1922.
La linea tranviaria era utilizzata anche per il carico e lo scarico della merce dai battelli e dai barconi a vela. Nel 1904 fu posto un binario morto sul tratto di lungolago fino all'imbarcadero di Maderno per tale servizio.
Alla società Belga si sostituì poi la T.E.B. (Tranvie Elettriche Bresciane) che esercitò  la gestione dell'intera linea fino alla sua abolizione. Durante l'ultima guerra 1940-45 fu sospeso il tratto Gargnano-Salò, mentre dal 9 luglio 1954 fu completamente eliminata la linea Salò-Brescia ed i collegamenti con la città furono sostituiti con autocorriere.
Alcuni nostri concittadini e precisamente i sigg. Bianchi Felice, Borra G:Battista, Nicolini e Alberti svolsero la mansione di controllori su questa linea per diversi anni.


domenica 6 dicembre 2015

LUOGHI CARATTERISTICI DELLE NOSTRE MONTAGNE


            In precedenza sono stati descritti, molto sinteticamente, i più noti e caratteristici luoghi che si trovano sul Monte Pizzocolo. Vediamo ora di esaminarli e visitarli come escursionisti amanti delle bellezze della montagna, per meglio apprezzarne le  peculiarità.


Località VESEGNA – alt. Mt.630

            Cosa molto rara,  anche in dialetto locale questa località porta  lo stesso nome.
Arrivati quassù ci si ritrova in un ambiente prettamente di montagna. Alla nostra vista appare un vasto prato, in parte piano ed in parte con una leggera pendenza, sul quale sorge un bel castagneto ultra centenario le cui piante stanno lentamente scomparendo a causa della loro vetustà e della malattia del cancro che le ha colpite.Le due piccole casette esistenti da anni sono state recentemente sostituite da una casa moderna alla quale, poco distante, se n’è affiancata un’altra.


Questo grande appezzamento di terreno è stato anche munito da una fitta recinzione di rete metallica che permette appena di osservare, dalla strada che la costeggia, questo bellissimo prato – tenuto sempre ben falciato – in fondo al quale si scorge un tratto di lago nella sua parte meridionale.
Da qui parte una stradina che conduce nella sovrastante località chiamata “Buellino” (Büelì).  Un altro ripido e scomodo sentiero, che non è altro che un “canalone” chiamato Cargiàne e portava, fin verso la metà del ‘900, in poco tempo, direttamente in località S.Urbano, proprio di fronte all’omonima chiesetta. Ora il sentiero, se così si vuol chiamare, è quasi scomparso, inghiottito dalla vegetazione.


Località SANT’ URBANO  - alt. Mt. 872

            Circa a metà strada per raggiungere la cima del Monte Pizzocolo, troviamo questa caratteristica località dove fin dai tempi antichi esisteva un roccolo, ora in disuso. Oltre una chiesetta sorgono, una accanto all’altra, due case di montagna circondate da un vecchio castagneto.
            Questa chiesetta ha una lunga storia. Nel 1381, da un documento notarile, risulta già che esistesse.e pare che fosse eretta, per un voto della popolazione, dove si trova ora il roccolo, dopo una delle tante pestilenze verificatesi nei secoli scorsi. Nel 1498, essendo stata abusivamente adibita al ricovero di animali, il comune ne ordinò la chiusura. Quando poi il Cardinale Carlo Borromeo nel 1580 giunse in Riviera per controllare lo stato degli edifici religiosi, salì per visitare anche questo tempio, ma, accertato lo stato di degrado ne decretò la definitiva sconsacrazione. Dopo le necessarie riparazioni, la chiesa fu nuovamente consacrata e divenne, da allora, anche la meta delle rogazioni che si svolgevano all’inizio della primavera. Seguì un nuovo periodo di decadenza in cui ritornò la vecchia usanza di utilizzarla come ricovero o magazzino.
            Nel 1928 quando il Cav. G. Battista Bianchi divenne proprietario di questa località, demolì l’originaria chiesetta che si trovava all’interno del roccolo e costruì quella attuale, dandole una decorosa sistemazione.
            Fino alla fine dell’800 il roccolo di S.Urbano era uno dei principali della Riviera ed era gestito da Stefano Veludari, come sostiene Giuseppe Solitro nel suo libro del 1897. Le numerosissime piante basse e sagomate poste intorno all’area del roccolo confermano appunto che in tempi lontani vi si praticava la caccia agli uccelli.
            Per chi intende salire a piedi fino alla cima del Monte Pizzocolo, questa è certamente una sosta quasi obbligatoria per rinfrancarsi e riprendere con più forza il cammino. Per chi  giunge fin qui con l’auto, è bene che la  posteggi sia perché per il transito occorre un particolare permesso, sia perché la strada non è facilmente percorribile


Località PASSO SPINO – mt. 1152

            La località che congiunge il Monte Pizzocolo con il Monte Spino si chiama appunto “Passo di Spino” (Pass del’èspì).
Qui fin quasi alla metà del ‘900 la famiglia Visintini di Toscolano possedeva un roccolo e, poco distante alcune case fra cui una malga. Questo roccolo  sin dal 1929 funzionò da osservatorio ornitologico a cura del Dr. Antonio Duse, celebre medico di Salò. Il ripristino di questo osservatorio, che aveva cessato la sua attività a causa degli eventi bellici dell’ultima guerra, è nuovamente risorto su iniziativa della Regione Lombardia, in collaborazione con l’ERSAF (Ente Regionale per i Servizi dell’Agricoltura e Foreste della Regione Lombardia). Il compito di questo osservatorio è quello di catturare, con apposite reti, i numerosi uccelli di passaggio da questa importante rotta, senza però recar loro alcun danno. Ognuno di loro, appena catturato, è attentamente esaminato per stabilire l’età, il peso, il sesso e le sue condizioni e, prima di liberarlo nuovamente dopo pochi minuti, alla sua zampetta è agganciato un anello metallico con l’indicazione di un numero in modo che  possa essere identificato nel caso sia nuovamente catturato. In questo modo è possibile studiare scientificamente le migrazioni e determinare le rotte seguite dagli uccelli.
            Come spiega il Dr. Enrico Boscaini, responsabile dell’Ufficio ERSAF di Gargnano, l’attività di inanellamento insieme allo studio delle condizioni ecologiche dei luoghi di nidificazione e svernamento, serve alla comprensione di questo fenomeno migratorio. Molto sono i fattori in gioco: se, ad esempio, la cattura di un esemplare già marchiato a Passo Spino, avviene in una stazione ornitologica francese o spagnola, può essere anche il segnale di un cambiamento climatico oppure un problema riguardante la distruzione di ambienti di svernamento. Per comprendere l’attività e l’importanza di quest’osservatorio, basti pensare che nel giro di quattro anni sono stati catturati e liberati 11459 uccelli appartenenti a 80 specie diverse.
            Le case, già appartenenti ai Visintini e da anni abbandonate, sono state ristrutturate e quindi adibite a foresteria di quest’importante osservatorio.

RIFUGIO SPINO – Alt. Mt.1165


Ad alcune centinaia di metri dal Passo Spino, in  direzione sud-ovest sorge il Rifugio Spino dedicato al Ten. Med. (medaglia d’argento) Giorgio Pirlo.
Prima del 1915 era una casermetta della Finanza ma il CAI di Salò che gestisce il Rifugio, nel corso degli ultimi anni lo ha completamente ristrutturato e sopraelevato tanto che può disporre di ben 45 posti letto. Fu inaugurato ufficialmente nel 1967 e da allora si è sempre adeguato alle sopravvenute necessità. E’ dato in gestione dal CAI a gerenti esperti ed è aperto tutto l’anno nei giorni prefestivi e festivi, tutti i giorni dal 1° maggio al 30 settembre. Oltre che da Toscolano Maderno, il Rifugio è accessibile anche da Gardone Riviera. Un sentiero parte da San Michele (mt. 400) e in località Pirello s’inserisce in quello proveniente dai Navazzini. C’è anche una strada  sterrata che parte dalla Val di Sör, ma s’interrompe sul confine fra Gardone e Toscolano Maderno in località  Pirello. Da qui ci s’inserisce nel sentiero n.8 che proviene da S.Urbano ed al bivio di località Merle si scende  verso il Passo Spino e poi al Rifugio Pirlo.
 Si passa poi dalla “Prea del gal”, dalla “Castegna dell’asèn”, da “Ceresì”. Poco prima di Vesegna, a sinistra, si stacca la strada di “Pura” o “Pöre”. Da Vesegna parte un ripido sentiero che porta in località “Buellino” o Buelì” (mt.816) dal quale si può ammirare un bel panorama. Girando a sinistra si va verso il Monte Lavino (mt. 901), mentre a destra verso S.Urbano dove si congiunge con  quella (n.6) proveniente da Sanico.




Località ARCHESANE e PRADALAI – . Mt. 816

            Queste due località si trovano nell’omonima valle, dietro il Monte Pizzocolo salendo da Gaino o provenendo dal Passo Spino. Già di proprietà Maffizzoli, appartiene come tanti altri appezzamenti di terra della zona, al Corpo Forestale dello Stato.  L’ERSAF che gestisce questi terreni, già da alcuni anni ha provveduto alla completa ristrutturazione del “Palazzo”, enfaticamente così chiamato anche prima di questi lavori.  In realtà si tratta di una modesta casa di montagna che fu costruita nel ‘600 dai Conti Delay di Toscolano, appartenenti  ad una delle più nobili e facoltose famiglie locali, proprietarie non solo di alcune cartiere poste nella valle, ma anche di ferriere nelle quali si producevano anche  ancore e palle di cannone per la flotta veneziana. Per queste loro benemerenze industriali nei riguardi della Repubblica Veneta, furono nominati Conti. Questa famiglia, inizialmente portava il cognome di Assandri, ma quando entrò nell’aristocrazia, assunse invece quello di Delay. Inizialmente aveva la sua residenza nella frazione di Pulciano, si trasferì poi a Toscolano, prima nel palazzo che fu poi dei Villa, vicino al quale  successivamente fu posto l’oleificio Morani. Verso la metà del ‘600, iniziò la costruzione del grande e bellissimo palazzo al porto di Toscolano (divenuto poi Maffizzoli-Oldi) il quale fu decorato dalle preziose tele di Andrea Celesti che fu loro ospite per diversi anni ed affrescato anche da Sante (o Santo) Cattaneo, noto pittore salodiano dell’epoca. Nell’ultimo trasferimento di proprietà di questo palazzo, le tele del Celesti furono acquistate dalla Fondazione della Banca Credito Agrario Bresciano che le ha esposte nella sua sede a Brescia due.
            Il “Palazzo” era la loro residenza di caccia dove, durante la stagione autunnale, erano ospitate allegre brigate di parenti e amici.
           Durante la giornata tutti si dedicavano esclusivamente alla caccia della selvaggina che in quel tempo era molto abbondante, mentre la sera si riunivano attorno ai tavoli nelle “sale”, si fa per dire, terrene del “Palazzo”, consumando abbondanti cene, condite dai generosi vini di Cervano e Zuino. Ai commenti sulle battute di caccia avvenute nella giornata, s’intercalavano suoni e canti fino a notte inoltrata, così come riferisce lo storico locale Avv. Donato Fossati.

Località  CAMPIGLIO DI SOPRA  - Mt. 1025

In dialetto è chiamata Campei de Sima. Lo storico locale, Avv .Donato Fossati, nel suo volumetto “Distinte famiglie di  Riviera” ci narra che anticamente i proprietari erano degli Andreoli, mandriani di Armo di Valvestino che all’inizio del XVI  secolo si spostarono sul monte Gargnano e precisamente a Navazzo. Qui iniziarono la loro attività  di allevamento del bestiame smerciando i prodotti del caseificio ed i      loro risparmi li impiegarono nell’acquisto di  numerosi pascoli e boschi:  i Ronchi, Cessamale, le Folgherie, gli Albaredi, Montepiano, Maernì, le Lucere, la Selva oscura, le costiere e le pendici settentrionali del Fòrzolo e, infine, Campiglio sopra, così chiamato dai campi seminati, in quell’epoca, di orzo, segala e patate. Qui fissarono la sede della malga e costruirono alcune case. Da una lettera datata 15 maggio 1602 risulta che l’Arciprete di Toscolano Lodovico Avancinus chiedeva al Vicario Episcopale di Brescia la licenza di erigere una cappella in quanto in quel luogo già vi erano trentasei anime e la chiesa più vicina (riteniamo Gaino) era distante cinque miglia da Campiglio. Ottenuta l’autorizzazione gli Andreoli costruirono la cappella dedicata a S.Maria della Neve, successivamente abbellita con un legato della pia signora Stefana Zambelli di Gaino la quale, ogni mese, saliva lassù sfidando qualsiasi tempo, per prostrarsi in fervide preghiere ed invocare la protezione della Madonna.
            Divenuta numerosa e benestante la famiglia Andreoli scese a Toscolano e costruì la casa ora denominata “Fossati” ed acquistando altri poderi. Passò poi all’industria cartaria con l’acquisizione della Cartiera di Maina di sopra, che era prima di proprietà dei Calcinardi. Furono industriali abili ed intraprendenti al punto da commercializzare la carta fino a Costantinopoli. Tutti i particolari di questa famiglia ce li hanno descritti lo stesso Donato Fossati che discende appunto da questa famiglia per il ramo femminile. Il suo nome deriva, infatti, da Donato Andreoli, fondatore della casa industriale.
Gli Andreoli furono sepolti nell’interno della chiesetta di S.Maria di Benaco a Toscolano, com’era abitudine in quel tempo per gli appartenenti a famiglie di alto rango.
Ritorniamo ora a
   Campei de Sima, bellissima località montana circondata da numerosi faggi di enormi dimensioni, acquistata alcuni decenni fa, unitamente ad altri appezzamenti di montagna, dall’Azienda Regionale delle Foreste, ora ERSAF che alla fine degli anni novanta ha dato inizio al recupero dei tre fabbricati esistenti tramite anche l’opera volontaria degli alpini della “Montesuello”. Nel fabbricato centrale, che era la malga, la stalla, il fienile  e l’abitazione dei mandriani, sono state ricavate due ampie sale da pranzo ed alcune salette, la cucina ed una zona notte. Questo è stato dedicato al Battaglione alpino Valchiese, al quale – combinazione –  apparteneva mio padre, alpino durante la prima guerra. Al Battaglione Alpino “Vestone” è stato dedicato l’altro fabbricato ristrutturato nel quale sono state allestite camerate tipo militare con 50 posti letto, mentre l’antica “casera”, dove veniva lavorato il latte, è stata ora attrezzata come bivacco, aperto tutto l’anno. L’ex casa padronale che apparteneva ai Fossati è divenuta locale di servizio per l’ERSAF. Di nuova costruzione un piccolo rifugio. Pure la cappella, che si trovava in cattive condizioni, è stata completamente sistemata a cura sempre degli stessi alpini, riacquistando così la su fisionomia originale. Al posto dei due dipinti  originari scomparsi, l’artista Angiolino Zane di Salò, ha creato un bassorilievo che rappresenta l’immagine
della Madonna, con ai piedi S.Gaetano che richiama  il contenuto dei dipinti originali. La Regione Lombardia ha finanziato la fornitura del materiale edilizio per circa 400 milioni di lire.            
 Tutto il complesso è stato inaugurato domenica 1° ottobre 2000 alla presenza di autorità civili, militari e religiose e numerosi amanti della montagna. In rappresentanza degli alpini, che sono stati i protagonisti principali di questa opera di ristrutturazione, era presente il Presidente  Nazionale del Corpo, Giuseppe Parazzini.
Ora il rifugio è aperto al pubblico dal 1° aprile al 30 settembre con criteri d’ospitalità e disponibilità secondo le regole degli alpini ai quali, per venticinque anni, è stato dato in gestione.
                                                                                                                                                        
CIMA DEL MONTE PIZZOCOLO CON BIVACCO E CHIESETTA

Sulla cima del Monte Pizzocolo (mt. 1581) si apre un grande spazio. Oltre al meraviglioso panorama (tempo permettendo) che si presenta alla nostra vista, ci viene in aiuto e conforto alla nostra fatica, particolarmente nelle giornate di pioggia o di vento, un piccolo, ma altrettanto utile e provvidenziale bivacco dei “due aceri”. Il suo nome deriva  dalla presenza di due aceri che si trovano di fronte.  Fu costruito su una vecchia postazione di guerra dal  gruppo di volontari “Amici del Monte Pizzocolo”; si tratta di un piccolo locale che offre la possibilità di ripararsi e, se si è  fortunati, di trovare un po’ di legna lasciata da altri escursionisti necessaria per accendere un fuocherello. E’ possibile anche bivaccare grazie ad un soppalco di legno.
A breve distanza e poco più in alto del bivacco, si trova una bella chiesetta dedicata ai Caduti di guerra e della montagna, anch’essa costruita con grandi sacrifici umani ed economici. Infatti, tutto il materiale (sabbia, cemento, pietre ed acqua) è stato trasportato a spalla dai volontari.
Ogni anno, alla terza domenica di giugno, è organizzato un incontro in vetta e per l’occasione viene celebrata la S. Messa dal Parroco di Maderno.
Poco più in alto della  chiesetta c’è, infissa nella roccia, una croce, al lato della quale è stato installato un punto di osservazione composto da un’asta metallica verticale infissa anch’essa nella roccia, sulla quale sono stati applicati dei pezzi di tubo, usati come fossero cannocchiali, ognuno orientato in direzione delle più importanti vette che è possibile ammirare da quel punto. Osservando attraverso questi tubi, si possono ammirare sia le vette delle montagne molto lontane, come quelle della Cima di Brenta (alt. Mt.3150), l’Adamello (alt. Mt.3354), il Manos (alt. Mt.1517), la Presanella (alt. Mt.3326), la Punta Telegrafo del Monte Baldo (alt.mt. 2200), il Carè Alto dell’Adamello (alt. Mt.3462) ed il Monte Corno del Gruppo Brenta (alt. Mt.1954), che quelle più vicine come il Lavino (alt.mt.907), lo Zingla (alt. Mt.1497) ed il Caplone sopra la Valvestino (alt.mt.1976) dal quale nasce la sorgente del Torrente Toscolano. Accanto a questo è stata posta la rosa dei venti:
Già dagli anni ‘60 del ‘900, un altro gruppo di volonterosi ed appassionati della montagna, aveva  installato un anemometro o meglio un faro eolico solare diurno, non  per misurare la velocità del vento, ma per richiamare l’attenzione degli amanti della montagna. Alcune pale,  mosse dal vento, fanno girare quattro specchi sottostanti ove si riflettono i raggi solari in tutte le direzioni, anche a lunga distanza. Nel corso degli anni questo attrezzo è stato più volte danneggiato dai fulmini che  spesso si scaricano sulla cima, per cui nel 2005 è stato ricostruito, modificato,  e messo quindi in condizioni di funzionare a cura dei volontari del “Gruppo Amici Monte Pizzocolo” su progetto e realizzazione di Mario Tonincelli, già creatore dell’osservatorio astronomico di Cima Rest.