Il palazzo della Società Montecatini di Milano bombardato dagli aerei dopo il febbraio 1943
Sono nato nel 1925 ed ho sempre
vissuto a Maderno sul Garda. In quel tempo, avevo da pochi mesi compiuto i 17
anni, ero impiegato presso la Montecatini-Duco di Milano e ad ogni fine
settimana ritornavo a casa con il treno ed il battello, non solo per ritrovare
la mia famiglia, ma anche per fare la scorta di viveri, dato che quello che
passava la mensa era limitatissimo. Il ritorno a Milano avveniva la domenica
pomeriggio. Con il battello arrivavo a Desenzano e, per giungere alla stazione
ferroviaria, c’era, quando era possibile salirci, una piccola e sgangherata
corriera che funzionava a carbonella la quale, a fatica nella ripida salita,
riusciva ad arrivare alla stazione ferroviaria.
La
sera del 14 febbraio 1943, come di frequente accadeva, il treno proveniente da
Venezia giunse con un’ora di ritardo. Era così affollato di gente che l’unica
possibilità di salirci sopra era quella di introdursi attraverso i finestrini
come spesso capitava. Giungemmo a
Brescia alle ore 22,30 e nella nostra carrozza, dove ci trovavamo già pressati
uno contro l’altro come tante acciughe, riuscirono ad introdursi altre quattro
persone. Da loro apprendemmo che da un quarto d’ora era suonato l’allarme
aereo. Con ripetuti sforzi della locomotiva, dato il forte carico, il treno
riuscì ad avviarsi verso Milano. Dopo alcuni chilometri, un soldato che si
trovava inchiodato contro un finestrino ci disse che in direzione di Milano si
vedevano scoppi d’artiglieria antiaerea. Man mano che il treno proseguiva verso
il capoluogo lombardo, ci rendemmo conto che si trattava di un grande attacco
aereo. Dopo molti sforzi e gomitate riuscii a giungere vicino al finestrino in
modo da poter vedere ciò che stava accadendo. Nel cielo si osservavano numerosi
scoppi di artiglieria antiaerea che si accendevano a forma di piccoli globi per
spegnersi subito. Quello che più impressionava erano i numerosissimi razzi
illuminanti che venivano lanciati dagli aerei. Ci fu poi un momento di stasi
quando giungemmo nei pressi di Rovato, ma poi tutto d’un tratto riprese con più
violenza. Evidentemente si trattava di un’altra ondata d’aerei giunti sulla
città. Alla stazione di Rovato il treno si fermò ed i passeggeri, che erano
pigiati negli scompartimenti, ne approfittarono per scendere sul marciapiede
sia per vedere lo spettacolo che per sgranchirsi e per .respirare un po’
d’aria. Dopo circa mezz’ora la locomotiva lanciò un fischio per avvertire che
il treno era in partenza. Naturalmente ci volle un bel po’ di tempo per
riuscire a starci tutti.
Il
viaggio proseguì e, dopo Chiari, la sparatoria cominciò a diminuire fino a
cessare completamente. Erano le 23,30. Giunti a Treviglio venimmo a conoscenza
che c’era ancora l’allarme aereo ma che l’attacco su Milano era terminato.
Pensammo perciò di poter giungere presto alla stazione centrale. Dopo Melzo e
precisamente a Pioltello il treno si fermò nuovamente, poi retrocesse un po’.
Solo dopo la partenza ci fu detto che le carrozze erano state poste su un
binario morto, mentre la locomotiva era andata avanti per verificare le
condizioni della linea ferroviaria.
Passarono
alcune ore prima che il treno ripartisse. Io avevo solo un piede appoggiato a
terra così come lo aveva una signora di fronte a me. Decidemmo, a turno, di
occupare con l’altro piede l’unico spazio libero disponibile. Dato che l’attesa
si faceva lunga e che eravamo a meno di otto chilometri da Milano, nonostante
il freddo, molti viaggiatori cominciarono a scendere ed avviarsi a piedi verso
la periferia della città. Fu allora che potei
finalmente scendere a terra. Uno spettacolo impressionante mi si
presentò davanti agli occhi. In tutte le direzioni si vedevano grossi incendi
che illuminavano il cielo. Dalla stazione di Pioltello non ci furono comunicate
notizie circa la situazione ferroviaria perché tutte le linee telefoniche erano
interrotte. Ci assicurarono poi che saremmo partiti per Milano solo verso le
dieci del mattino. Invece, dopo tre ore di sosta, il capotreno ci avvertì della
partenza. Infatti alle tre e mezza il treno si mise in moto. Giunti alla
periferia di Milano cominciammo a vedere da entrambi i lati della linea
ferroviaria, numerosi e grossi incendi. Dal finestrino vedemmo che tutti i fili
aerei della linea erano a terra spezzati e contorti. Alla stazione di Lambrate
il treno si fermò ancora e ci misero su un binario morto. Numerose persone ne
aproffittarono per scendere ed incamminarsi verso le loro abitazioni. Scesi
anch’io ma per sedermi su una panchina ad osservare un incendio che divampava
poco distante. Dopo un po’ giunsero i Vigili del Fuoco gettando sul rogo fiumi
d’acqua, sollevando fiamme color bianco. Alle sette non erano ancora riusciti a
domarlo.
In
seguito allo sfollamento di numerosi viaggiatori, verso le sei, riuscii a trovare uno scompartimento quasi vuoto e
potei riposarmi. Alle sette il treno si mise in moto e raggiunse, con molte
difficoltà, la stazione centrale mezz'ora dopo.
Appena
sceso a terra mi si presentò uno spettacolo sconvolgente. La stazione era stata
colpita da numerosi spezzoni incendiari, ma non da bombe dirompenti. Per
giungere a piedi alla mia abitazione situata in Via della Moscova, dovetti
attraversare numerosi rioni devastati dalle bombe. Naturalmente i tram non
funzionavano perché buona parte delle strade era intransitabile a causa delle
macerie delle case colpite. Incendi divampavano ancora in numerose case. La
manifattura tabacchi di Via Moscova era stata colpita in pieno ed una grossa
nube con fumo acre si espandeva nei dintorni togliendo perfino il respiro.
Fortunatamente la casa in cui ero alloggiato era rimasta intatta, quindi potei
finalmente riposare un po’.
A
quelle condizioni era divenuto impossibile e pericoloso rimanere in città, per
cui la settimana stessa presentai le dimissioni ed all’inizio del mese di marzo
abbandonai definitivamente Milano per ritornare a Maderno,
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