Nell’area dove un tempo si trovava il tempio di Bacco che era inserito nella villa romana, fu costruita la chiesa di S.Andrea, abbattuta quasi interamente nel ‘500, salvando solo la sacrestia. Il nuovo edificio che l’ha sostituita, il cui disegno di stile lombardo, fu suggerito da Carlo Borromeo, fu dedicato, invece, ai SS. Pietro e Paolo, patroni di Toscolano. La prima pietra fu posata il 16 marzo 1584 dal Vescovo di Brescia che concorse, anche personalmente, alla spesa. Frate Andrea da Toscolano afferma che l’architetto fu il maestro Bertoldo da Toscolano. Tre portali, uno più grande centrale e due laterali, introducono alle tre navate interne, sostenute da un elegante colonnato dorico con capitelli dorati, ed il pavimento è lastricato da grosse pietre romboidali di marmo veronese rosso e bianco. Ai lati della porta centrale si trovano due grosse colonne di marmo rosso, rabberciate, recuperate nel vicino campo della parrocchia dove sorgeva la villa romana, fasciate di bardiglio chiaro lavorato a panneggiamenti e festoni per mascherare alcune rotture. Sopra l’architrave c’è un complesso marmoreo di tre statue: al centro, in piedi, S.Pietro con le chiavi e, più in basso, due angeli seduti. All’interno della chiesa, numerose sono le opere di valore artistico: dipinti, intarsi e vetrate. Nel ‘600 operò a Toscolano il pittore veneziano Andrea Celesti rifugiatosi sul Garda intorno al 1688, pare, per aver pubblicamente dileggiato il doge Alvise Contarini. A Venezia, in Piazza S.Marco, nel giorno dell’Ascensione, era consuetudine che gli artisti esponessero le loro opere: quella del celesti, non se ne conosce il motivo, fu molto criticata dal Doge e allora il pittore per vendicarsi, espose un secondo quadro nel quale raffigurò il Serenissimo con delle sproporzionate orecchie d’asino dall’indubbio e chiaro significato. Conoscendo i tempi e gli uomini, dopo questo affronto, pensò bene di allontanarsi il più possibile dalla città lagunare per riparare a Toscolano, dove rimase confinato fino alla sua morte.
Scolaro del manierista Matteo Ponzone e poi di Sebastiano Mazzoni, preparatore dell’arte settecentesca, è assai noto per i pregevoli dipinti sparsi nelle case patrizie di Venezia, del veneto ed anche all’estero: basti citare le sue opere nel monastero di San Floriano presso Linz, eseguite dal 1697 al 1699 e male restaurate nell’Ottocento. Ancora lo troviamo nelle gallerie di Kassel, Nantes e Bordeaux, a Dresda e Postdam, oltre, naturalmente, in numerose chiese della riviera bresciana. Le facoltose famiglie Turazza, Delay e Sgraffignoli gli commissionarono le grandi pale del coro, quella dei Consolini il presbiterio, quella dei Colosio le lunette della navata centrale, mentre il comune si assunse la spesa della tela sopra in portale centrale riproducente la strage degli innocenti, capolavoro del Celesti che, purtroppo, ora ha la necessità di essere restaurata, com’è stato fatto, con ottimi risultati, alcuni anni fa per diverse altre tele dello stesso autore. L’iniziativa fu presa dall’Associazione Andrea Celesti, sorta per la valorizzazione delle opere dell’artista. Grazie all’aiuto economico di enti e privati, tale incarico fu affidato a G.Maria Caselli, che ha così restituito il primitivo splendore a queste opere d’arte.
Il trittico che copre le pareti dell’abside, mirabile opera d’età matura dell’artista e che porta la data dl 1668, raffigura:
- · Sulla tela sinistra, la sfida di Simon Mago di fronte all’imperatore, tra i labari delle legioni e uno stendardo romano e, in posizione inferiore, due santi raccolti in preghiera;
- · Sulla tela centrale, la consegna delle chiavi, simbolo della potestà spirituale, a S.Pietro;
- · Sulla tela destra, il martirio di S.Pietrro e la decapitazione di S.Paolo.
- · Sopra gli archi della navata centrale sono inoltre illustrati dieci episodi della vita pubblica di Gesù. Fra questi, sul lato sinistro, si può osservare il dipinto riguardante la Resurrezione di Lazzaro.
- · Altre opere del Celesti, il cui mantenimento era affidato alla devozione e alla generosità di patrizi toscolanesi, adornano alcune cappelle: quella della Madonna del S. Rosario (in fondo alla navata destra) con una pala raffigurante
- · la Vergine che consegna il Rosario a S. Domenico e a S. Caterina, affidata ai Colosini; quella di S. Giuseppe (la prima della navata sinistra), con un pala raffigurante appunto S. Giuseppe in gloria ed, a sinistra in basso, S. Carlo Borromeo, S. Filippo Neri ed altri due Santi, affidata ai Fossati;
- · quella del S.Crocefisso (la seconda della navata sinistra), con una pala raffigurante la crocifissione con S. Rocco (S. Giuseppe d’Arimatea secondo C. Giunta), S. Maddalena e S. Giovanni Battista, affidata ai Delay;
- · quella di S. Cristoforo (la prima della navata destra), affidata ai Calcinardi, annovera in dipinto di scuola veneta riproducente S. Cristoforo e S. Antonio Abate;
- · quella della deposizione o della Santa Croce (in fondo alla navata sinistra), affidata ai Pilati, conserva un’opera del salmodiano Santo Cattaneo detto il “Santino”, che raffigura la deposizione;
- · quella della Madonna del Carmine (la seconda della navata destra) è arricchita da una pala d’autore ignoto, o di Pase Pace, secondo Antonietta Spalenza.
Secondo Gaetano Panazza ed altri autori, nella sacrestia si troverebbe custodito un dipinto di Domenico Riccio detto “Brusasorci” (1516-1567), noto pittore veronese che subì l’influenza di Tiziano, del Giorgine e del Parmigianino, già pala di S. Domenico, proveniente dalla primitiva chiesa. E’ curioso notare che il soprannome di questo artista deriva dal fatto che il padre, maestro di intagli di legno, fu anche l’inventore della trappola per i topi. Donato Fossati, invece, attribuisce tale dipinto alla sorella del “Brusasorci”, anch’essa pittrice. Il legno, specialmente quello di noce, fu ampiamente usato ed arricchito d’intarsi e incisioni per costruire il coro (con 25 stalli e 13 statuette sul cornicione), diversi confessionali lungo le navate laterali, la maestosa cattedra vescovile del 1612 ed, infine, l’imponente pulpito rivolto verso i fedeli.
Belle sono le vetrate policrome eseguite ai primi del ‘900 dalla vetreria Balmet di Grenoble, a partire da quella sul rosone centrale che rappresenta la glorificazione della Madonna assunta in cielo, e le due più piccole dove sono inserite le effigi di S. Pietro e S. Paolo, patroni di Toscolano.
Sui lati del tempio e sull’abside ve ne sono altre che raccontano i momenti più significativi della vita di Cristo: la presentazione al tempio, il battesimo, l’amore per i fanciulli, l’ultima cena, la resurrezione e l’ascensione.
Sulle pareti dell’abside, poco prima della grandiose tele del Celesti, ritornano le immagini dei Santi protettori: S. Paolo nel momento della sua conversione, accecato da Dio e caduto da cavallo e S. Pietro pescatore nell’incontro con Cristo. Poco oltre l’ingresso sono murate tre eleganti lapidi nere con scritte in oro, volute dalla municipalità per celebrare la grandezza d’illustri toscolanesi vissuti nei secoli XV e XVI: Don Cristoforo Pilati, cui si deve la costruzione della chiesa, Andrea Grazioli, medico e filosofo il cui impegno e sapere ebbero un grande successo nella lotta con un’epidemia di peste petecchiale a Desenzano nel 1567, ed, infine, Gabriele di Pietro, Paganino Paganini ed il figlio Alessandro, stampatori.
Il campanile fu costruito successivamente, nel 1727, per volontà di Bortolo Candellini. La base quadrata è ornata da grosse pietre bianche squadrate ed alla sommità, sopra il vano delle campane, da una merlatura in pietra bianca. Nel 1733 furono poste le campane, fuse da Pietro Olmo da Como. Sulle pareti della base sono murate sei lapide romane, di cui una proveniente dalla scomparsa chiesa di S.Antonio.
Per chi fosse interessato a conoscere meglio i vari particolari artistici di questa Chiesa e dei suoi preziosi dipinti, segnalo un recente interessantissimo opuscolo a cura di Antonietta Spalenza “La Chiesa dei Santi Pietro e Paolo in Toscolano” edito nel 2000 dalla Fondazione Civiltà Bresciana e stampato dalla Tipografia Giovanelli di Toscolano. La Spalenza, che ha antiche radici toscolanesi, è artefice di una brillante tesi di laurea su quest’argomento.