mercoledì 28 gennaio 2015

DECORAZIONI DI G.DE ROSSI SU CASE E VILLE





Non posso fare a meno di ricordare, in questa occasione,mio padre Giovanni De Rossi (1881-1957) che, dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale quale Sergente Maggiore degli Alpini, al suo ritorno a casa - pur essendo un autodidatta - un semplice pittore, si è dato alla decorazione di numerose case o ville. Contemporaneamente ha svolto la funzione di insegnante di disegno "ornato" presso la Scuola Professionale serale che si svolse a Maderno dal 1927 in poi: prima presso i locali dell'ex Municipio in Piazza Maderno, poi nei saloni del palazzo Gonzaga ed, infine, nelle aule delle scuole elementari di Maderno che si trovavano nel Palazzo Benamati.
La foto sopra riprodotta riguarda il soffitto della sala da pranzo dell'Hotel Maderno.
Poi eseguì la facciata della Villa Bianchi (ex Hotel Golfo) usando una particolare tecnica chiamata  "graffito" che consiste in una incisione a "graffio" realizzata da una punta metallica su una superficie levigata di calce e sabbia, mettendo allo scoperto un sottostante strato pre-applicato, di colore diverso, come risulta dalla seguente immagine:











Anche l'Albergo Milano sul Lungolago di Maderno venne decorato






La ex villa del Dr.Carrobio in Via Aquilani a Maderno


Nonchè la vicina villa Serenella


La casa Vezzoni in Piazza Maderno

La casa Bottura in Via Garibaldi a Maderno



Ex villa Cavallero sul Lungolago di Maderno




Sulla facciata dell'ex albergo Rock, quando era una casa privata

                                                              Orfeo poeta e musicista

Decorò anche la cattedrale di S.Lorenzo a Lugano (Svizzera) e lavorò al Castello Sforzesco di Milano. Anche la decorazione della ex Casa di Riposo di Gavardo, divenuta ora Ospedale e le scuole elementari di Villanuova furono opera sua. Nel 1929 decorò un altare dedicato alla Madonna. nella Parrocchiale di Gavardo del quale conservo lo schizzo originale corniciato del disegno,
Naturalmente diverse decorazioni, risalenti a 70/80 anni fa sono state necessariamente restaurate da altri decoratori fra cui quelle della ex villa Cavallero, dell'Hotel Milano e della casa Vezzoni.

                                                                                                           Andrea De Rossi







IL POSTINO, A PIEDI, CONSEGNA LA CORRISPONDENZA



Nel secolo scorso la posta veniva consegnata dal postino nelle varie destinazioni recandosi a piedi o in bicicletta. La foto, riproducente il noto postino di Maderno Mario Pellegrini in piazza, conferma quanto detto.
                                                                                                            Andrea De Rossi

martedì 27 gennaio 2015

CHIESETTA DI S.MARTINO A MONTE MADERNO






Poco sotto la frazione di Sanico, nei pressi dei prati di S.Martino, vi è un piccolo colle al centro del quale vi è un cimitero dove, fino verso la fine dell’800 trovavano sepoltura i defunti di Maderno e delle sue frazioni. Al centro sorge una piccola chiesetta dedicata a S.Martino di Tours con annesso un piccolo vano. E’ sorta in un antico romitorio e fu adattata all’interno di una torre circolare, probabilmente di origine romana, che era posta a protezione del paese, dalle incursioni delle popolazioni montanare che mal si adattavano a convivere con la gente latina.
Per la sua posizione isolata e lontana dagli abitati, funzionò come lazzaretto in caso di
epidemia fino all’inizio del 1600. Dal 1617 al 1748 ospitò diversi eremiti ai quali, dal 1751, fu proibito ogni  accesso.
                                                                                                    Andrea De Rossi







accesso.

TRASPORTO MERCI SUL LAGO CON BARCHE A VELA



Con l’incalzare della vita moderna molte attività lacustri sono completamente scomparse o soppiantate da nuovi mezzi e da pressanti esigenze commerciali e casalinghe.
Una di queste è quella del trasporto di merci su natanti. Si trattava di grandi barconi con enormi vele a colori sgargianti su molte delle quali spiccavano vistosi rattoppi (erano allora tempi veramente duri!). Negli ultimi anni,nel tentativo di rincorrere i tempi, si erano perfino attrezzati con un motore ausiliario.
Sulla sponda occidentale del lago di Garda il golfo più adatto ad accogliere questi natanti carichi di merci era senza dubbio quello di Maderno. I più numerosi provenivano dalla sponda orientale del lago con carichi di pietre o altri materiali. Gli altri, invece, provenivano da Desenzano con altro materiale o beni di consumo giunti con il treno. Con questi mezzi lacuali era trasportato tutto ciò che oggi viene facilmente e più velocemente trasportato su strada con gli autocarri.
Questi barconi, in attesa dello scarico della merce, venivano ormeggiati a fianco della banchina del golfo di Maderno che dalla piazza giunge fino all’approdo dei battelli. Nei primi decenni dello scorso secolo, lo smistamento e la consegna della merce nei paesi circostanti era facilitata dalla possibilità di caricare direttamente sui carri merci della allora esistente linea tranviaria Brescia-Gargnano, che dalla piazza deviava fino all’imbarcadero.
In genere tutti questi natanti, dopo aver scaricato il loro materiale, ritornavano a destinazione carichi di legna da ardere proveniente dalle montagne circostanti.
Da oltre cinquant’anni, quest’attività è completamente scomparsa. Al posto dei barconi il golfo di Maderno è stato progressivamente occupato da numerose “barche” d’ogni tipo e misura, alcune delle quali fornite di tutti i comfort possibili e, naturalmente, usate a scopo turistico.
Come una rarità, durante l’estate, si vede ancora uno di questi barconi solcare il lago. Si
tratta del “San Nicolò” di Bardolino, munito di due grandi vele bianche, carico non di merce ma di
turisti che hanno così la possibilità di osservare e godersi meglio le coste del lago. In effetti, però,
questo barcone allestito esclusivamente per scopi turistici, funziona a motore mentre le sue bianche
vele, salvo casi eccezionali, le donano soltanto la caratteristica immagine di un tempo lontano.

                                                                                                           Andrea De Rossi


lunedì 26 gennaio 2015

ESPOSIZIONE VOLUMI DEI PAGANINI STAMPATI NEL XVI SECOLO


Presso il “Centro di Eccellenza - Polo Cartario” di Maina inferiore, in Valle delle Cartiere, 57 a Toscolano, il 1° marzo 2008 è stata inaugurata dal Sindaco e Presidente della Fondazione Valle delle Cartiere, alla presenza di numerose autorità, la mostra di antichi volumi stampati a Toscolano dai Paganini nel XVI secolo.
L’esposizione comprendeva 54 preziosi volumi stampati da Paganino e Alessandro Paganini (padre e figlio) dei quali 32 sono stati gentilmente concessi in comodato alla Fondazione Valle delle Cartiere, (organizzatrice di questa mostra) e gli altri concessi in prestito dalla Biblioteca Queriniana di Brescia e dalla Fondazione Ugo da Como di Lonato.
Ma chi furono questi Paganini e perché scelsero Toscolano come luogo per la loro attività?
Il padre del Paganini, Gaspare, fu il capostipite di una famiglia di editori e cartai di Cigole che si trova nella bassa bresciana, patria di altri stampatori come Giovanni Antonio Bruciano, Turbini Damiano e i suoi eredi.
Agli inizi del 1500 Paganino Paganini fu chiamato da Venezia dove esercitava la sua attività da padre Francesco Lechi, detto il Licheto, nell’Isola di Garda dove esisteva allora un centro di studi religiosi affinché stampasse il commento alle opere di Duns Scoto. Paganino accettò l’invito e si trasferì nell’isola portando con sé la sua officina ricca di caratteri vari e di varie misure, nonché di pregevoli iniziali incise e disegni.
Secondo lo storico locale DonatoFossati soltanto nel 1519, altri indicano invece il 1517, avendo ritenuto conveniente economicamente avvicinare la loro attività al centro di produzione della carta, Paganino con il figlio Alessandro si trasferirono a Toscolano e svolsero il loro lavoro prima in contrada Porto, poi si spostarono nella  frazione Cecina, poco distante da quella di Messaga dove anni prima aveva operato Gabriele di Pietro, altro famoso stampatore. Già da tempo i Paganini possedevano nella valle delle cartiere a
Toscolano una fabbrica di carta nei “folli”di Maina la quale nel 1570 passò di proprietà a Nicolò fu Vincenzo Cappuccini di Gaino. Questi “folli”,così venivano chiamati in quel tempo le piccole fabbriche di carta, secondo quanto afferma Donato Fossati, dovevano essere nella località dove sorgeva lo stabilimento cartario della soc.Andrea Maffizzoli, detta Maina, l’unica tra le tre dello stesso proprietario che si trovavano nel territorio di Toscolano. Secondo la mia ipotesi dovrebbe trattarsi di quella che viene chiamata “Vancinelle”dato che le altre due confinanti più a valle erano in territorio di Maderno. Dal 1519 al 1538, anno in cui morì il Paganino e forse anche lo stesso Alessandro, gli stessi pubblicarono a Toscolano una cinquantina di opere la maggioranza delle quali fu composta con uno speciale carattere bizzarro semidiritto, tra il corsivo ed il romano, che fu appunto chiamato “carattere dei Paganini”. L’elenco dei libri stampati a Venezia, all’Isola e a Toscolano dai Paganini è elencato nel volume di Angela Nuovo “Alessandro Paganino - 1509- 1538”, pubblicato dall’Editrice Antenore di Padova nel 1990.
E’ bene ricordare che Alessandro Paganini, oltre che stampatore, fu anche un grande disegnatore e quindi un abile creatore di caratteri tipografici, un cosiddetto “punzonatore”.
I Paganini iniziarono a stampare a Toscolano una collezione di libri in “ventiquattresimo”, termine tecnico che si riferisce al formato ottenuto piegando il foglio di stampa in 24 parti, creando un libretto che ora chiameremmo di formato tascabile. Proseguirono poi con una collezione di libri in ottavo il cui formato si otteneva, invece, piegando il foglio di stampa tre volte e ricavandone così 16 pagine. Caratteristica di questi
volumi stampati a Toscolano fu l’iscrizione in cornice rettangolare, riprodotta qui accanto, che di solito veniva stampata sul verso dell’ultima pagina, come se fosse una firma editoriale. L’iscrizione fu così tradotta: PAGANINO E ALESSANDRO PAGANINI BENACENSI FECERO A BENACO (antico nome di Toscolano zona porto) mentre la sigla finale V.V. secondo alcuni doveva intendersi viva viva, secondo altri viva Venezia, ma in sostanza non fu mai esattamente interpretata e divenne un problema di enigmistica.
Molto interessante è la storia riguardante la stampa del Corano stampato per la prima volta nel 1538 in arabo a Venezia da Alessandro Paganini. Secondo il Baroncelli nessun esemplare di quest’opera si sarebbe salvato perché, pareva che tutte le copie siano state distrutte per ordine dell’Autorità Pontificia di quel tempo, mentre i caratteri usati per la stampa di questo volume furono trasferiti a Toscolano. Fu, invece, Angela Nuovo che nel sopraccitato suo volume annunciò di aver ritrovato, dopo 450 anni, una copia del Corano presso la Biblioteca dei Frati minori di S.Michele di Venezia. La stessa afferma trattarsi di un capolavoro tipografico tutto in arabo, senza una sola riga o data in altre lingue, ad eccezione del visto del Vicario del Santo Ufficio di Cremona, Arcangelo Mancasula.
Quindi, secondo la Nuovo, il Corano non sparì dalla circolazione ma, semplicemente, non venne mai fatto circolare in Europa e si risolse in un fallimento. I Mussulmani dimostrarono una grande avversione nei confronti della stampa perché un passo dello stesso Corano vieta agli infedeli di accedere al testo sacro. Fu quindi Alessandro a risentire le conseguenze finanziarie e professionali di questa grande operazione che fallì.
Esaminando il libro di Angela Nuovo, si rilevano tutti i 98 libri che i Paganini stamparono
prima a Venezia, poi all’Isola (indicato Salò) ed infine a Toscolano, che sono così suddivisi.
VENEZIA n.47
SALO’ n. 2
TOSCOLANO n.49
Dei 47 stampati a Venezia tre portano il nome di Paganino e Alessandro, tre solo di Paganino e 41 solo di Alessandro. Dei due stampati a Salò uno porta i nomi di Paganino e Alessandro e uno solo di Alessandro.
Dei 49 stampati a Toscolano, 17 portano i nomi di Paganino e Alessandro, 29 solo di Alessandro e 3 solo di Paganino. Paganino Paganini volle essere sepolto nella chiesa della Beata Vergine di Benaco a Toscolano. Con la sua morte il figlio  Alessandro cessò la sua attività. Tra i personaggi dell’epoca ai quali i Paganini dedicarono alcune loro edizioni di Toscolano, ricordiamo Isabella Gonzaga, Francesco Corner, procuratore di San Marco ed il Cardinale Giulio dè Medici.

Copertina di uno dei libri che i Paganini stamparono a Toscolano. Il Lechi così la interpretò: " PAGANINO
                                                                                                                         Andrea De Rossi


E ALESSANDRO PAGANINI BENACENSI  FECERO, VIVA BENACO".

LA CHIESETTA DI LUSETI IN VALLE CARTIERE



In località Luseti, in fondo alla valle delle cartiere, dove intorno è desolazione, esiste una chiesetta dedicata ai SS.Filippo e Giacomo che alcuni anni fa fu profanata e danneggiata da vandali.
Con l’intento non solo di fermare questa distruzione, ma anche di ripristinare il luogo sacro nonché di adattare una vicina casetta – che un tempo fu l’abitazione della famiglia Civieri – ad uso ricreativo dei giovani, fu costituito un gruppo volontario di cittadini, tra i quali diversi Alpini, denominato “Amici di Luseti”.
Il risultato di tale coraggiosa iniziativa non si è fatto attendere molto. Domenica 28 Settembre 1997 vi è stata l’inaugurazione dei lavori della chiesetta, unitamente a quella dello stabile adibito ad attività ricreativa dei giovani.
La numerosa partecipazione di cittadini ,è stato il segno della riconoscenza verso le persone che hanno sacrificato il loro tempo libero per raggiungere questo obiettivo.
Per giustificare l’esistenza di questa chiesetta, in un posto ora così abbandonato, necessita ritornare indietro nel tempo di almeno quatto o cinque secoli, quando questa valle era letteralmente invasa da opifici ed in particolare da industrie cartarie.
Proprio a Luseti nel 1480 esisteva una cartiera di proprietà del Beneficio Parrocchiale di S.Nicolò di Cecina, mentre a poca distanza più a nord, in località Covoli, vi erano le cartiere della famiglia Vicario di Gaino che furono demolite verso la fine del '800 per far posto all'Officina che avrebbe fornito la corrente elettrica a tutti i paesi della riviera.Naturalmente quelle industrie citate sono fra le più antiche, ma nel corso degli anni ne sorsero numerose altre. Da una ricerca di Flavio Piardi risulta che nel 1852 (periodo in cui da tempo l'attività era in calo) ai Covoli n’esistevano due, cinque a Luseti, una alla località Gatto, due a Caneto, una a Vago, quattro a Maina superiore, una a Maina inferiore, una a Lupo, una alle Quattro ruote, tre alle Garde, una al ponte ed altre sette nel promontorio. Buona parte si trovavano sul territorio di Toscolano mentre le altre su quello di Maderno. Il motivo di tale concentrazione d’opifici in così breve spazio era lo sfruttamento dell'energia idraulica del fiume.
Fino al 1872, epoca in cui fu costruita la strada di accesso da parte di un Consorzio formato da sette principali industriali della carta e dai due comuni, tutta l'attività industriale era racchiusa dentro la valle alla quale si poteva accedere esclusivamente attraverso gli impervi sentieri che scendevano da Gaino dove, di conseguenza, dovevano passare sia i rifornimenti che il prodotto finito delle varie industrie. Le centinaia d’uomini, donne e fanciulli erano costretti a percorrere ogni giorno per recarsi al lavoro il pericoloso "sentiero delle assi" posto tra la roggia ed il letto del fiume che da Maderno e Toscolano conduceva all'interno della valle. Molte furono le disgrazie a causa del sentiero assai stretto per la caduta di sassi e ghiaccio particolarmente nella stagione invernale.
In fondo alla valle dove finiva la strada le numerose fabbriche e la quantità d’operai costantemente sul luogo, fecero nascere il nucleo abitato detto LUSETI ma che fu chiamato anche Losedo o semplicemente Contrada.
Nel XVI secolo la ricca famiglia Tamagnini, allora proprietaria di cartiere presso la chiusa di Lume, Löm in dialetto, eresse e donò la chiesetta dedicata a S.Filippo e Giacomo. La chiesetta si trova vicino all'attuale ponte in muratura, costruito la prima volta nel 1763, travolto dal fiume in piena nel 1939 e non più ripristinato ma semplicemente adattato per il passaggio dei pedoni.Il motivo, mai conosciuto prima d'ora, per il quale questa chiesetta fu dedicata ai due Santi Filippo e Giacomo, lo ha scoperto recentemente la sig.na Letizia Erculiani nel corso delle sue numerose ricerche storiche. I Santi Filippo e Giacomo risultano essere i patroni dei "gualchierai" cioè di coloro che sono addetti al funzionamento delle "gualchiere" che sono macchine mosse dalla forza idraulica che si usavano in passato per "follare" sottoporre i tessuti di lana ad una pressione meccanica esercitata dall'alto con un pistone onde ridurli ad una poltiglia) In sostanza lo stesso lavoro che centinaia di operai esercitavano nella Valle delle Cartiere per preparare la materia prima necessaria alla fabbricazione della carta.
I costruttori della Chiesetta abitavano nella costruzione quattrocentesca al porto di Toscolano, un tempo unito all'ex setificio da un cavalcavia ed ora trasformata in condominio. Fu in questo palazzo dei Tamagnini che nel XVI secolo i tipografi Paganino Paganini e il figlio Alessandro ed i loro allievi, stamparono la famosa collezione di classici divenuta ora rarissima.
Per comprendere l'importanza della famiglia Tamagnini, basti pensare che i membri della stessa ricevettero sepoltura nel Santuario della Madonna del Benaco, insieme a pochi altri, com'era consuetudine in quei tempi.
La chiesetta fu sempre sotto la giurisdizione della Parrocchia di Gaino, ma dal 1935 passò a quella di Toscolano. Fino ad alcuni decenni fa ogni domenica era celebrata la S.Messa.
Il decollo industriale della zona ebbe inizio dopo la costruzione della strada d’accesso alla Valle, ma durò ben poco perché agli inizi di questo secolo la cartiera Maffizzoli, la più grande esistente nella valle, iniziò la costruzione del "grandioso" stabilimento di "Capra" a Toscolano per avvicinarsi così alle vie di comunicazione, particolarmente quella lacuale. Da qui ebbe inizio la progressiva decadenza delle industrie cartarie della valle. Nel 1904 gli opifici erano ridotti a sette od otto e nel corso degli anni successivi sparirono completamente.
Buona parte furono demoliti, di altri se ne vedono labili tracce perché ingoiati dalla spessa vegetazione contribuendo così a creare una zona abbandonata e degradata tanto più ci si addentra nell'interno. A Luseti, infatti, le attività hanno cessato prima che altrove. L'addio definitivo a questa valle che per secoli fu un importante centro industriale l'hanno dato la cartiera della Garde nel 1959 e per ultima quella di Macallè nel 1961.
Notizie varie sullo stuccatore RETI DAVIT o DAVIDE e sulla facoltosa famiglia TAMAGNINI che costruì la chiesetta a Luseti dove lavorò il Reti
Gli incaricati del delicato lavoro di restauro dell’altare dedicato ai Santi Filippo e Giacomo della chiesetta di Luseti, in fondo alla valle delle cartiere, nel corso dei lavori hanno scoperto, in basso a sinistra dell’altare stesso, il nome dell’autore: DAVIT RETI (vedi foto nella pagina precedente) cui finora nessuno aveva mai attribuito quest’opera, compresi gli esperti d’arte come Passamani o Panazza. Trattasi di uno stuccatore di alto livello di Laino, in valle d’Intelvi (Como). Lavorò alla Madonna delle Grazie a Brescia, alla Cappella del Sacramento del Duomo di Salò e all’Inviolata di Riva.
Tale chiesetta fu costruita nel XVI secolo dalla ricca famiglia Tamagnini che era proprietaria di una cartiera in località Löm, a poche centinaia di metri dal luogo in cui fu innalzata la chiesa. La chiesa fu sempre sotto la giurisdizione della Parrocchia di Gaino e solo dal 1935 passò a quella di Toscolano. Vedendo ora questo edificio sacro in una zona abbandonata, il visitatore si chiederà per quale motivo fu costruito qui. Per capirlo bisogna ritornare indietro nel tempo di almeno 4 o 5 secoli, quando la valle delle cartiere era letteralmente invasa da opifici di vario genere ed in particolare da industrie cartarie che si erano concentrate in questo limitato spazio al fine di sfruttare al massimo l’energia idraulica del fiume, quando ancora non c’era l’energia elettrica. Basti pensare solo al numero delle industrie cartarie esistenti in quel tempo: in località Covoli ne esistevano due, cinque a Luseti compresa quella di Löm, una in località Gatto, quattro a Maina superiore, una a Maina inferiore, una a Lupo, una alle quattro ruote, tre alle Garde, senza contare quelle altre sette del promontorio. E’ quindi da immaginare il numero di persone che avrà affollato la suddetta valle ed è quindi giustificato il motivo per cui è sorta in questa zona tale chiesetta.
La suddetta famiglia Tamagnini, invece, abitava al Porto di Toscolano nel quattrocentesco edificio che nel XVI secolo ospitò i famosi tipografi Paganino Paganini ed il figlio Alessandro che stamparono la famosa collezione di classici, divenuta ora rarissima. Nel secolo scorso, era l’abitazione della famiglia Oliverio, proprietaria del Setificio.
Dai documenti storici risulta che i membri della famiglia Tamagnini, insieme a pochi nobili, ebbero l’onore di essere sepolti nel Santuario della Madonna del Benaco. Inoltre un membro di tale famiglia, Gerolamo Tamagnini, nel 1668 fu compare di nozze, insieme ad altri due nobili Scipione
Delai e Camillo Sgrafignoli, di Andrea Celesti, (sposato con la veneziana Martina Davagni) il celebre pittore che decorò la chiesa parrocchiale di Toscolano. Sempre nel 1668 il Celesti decorò nella suddetta chiesa, su un pannello sottostante la vetrata destra del coro, i nomi e gli stemmi di Scipione Delai,Gerolamo Tamagnini e Camillo Sgraffignoli tutti e tre appartenenti a ricche famiglie locali, padroni di industrie di ancore e catene, cartiere e limonaie. Gli stemmi riproducono rispettivamente:
- un toro per la famiglia Tamagnini
- un leone rampante per la famiglia Delai
- una mano che punta l’indice a destra per la famiglia Sgrafignoli
A proposito del toro che rappresenta la famiglia Tamagnini, nel centro dell’altare della chiesetta di Luseti, vi è riprodotto un toro rampante che potrebbe essere l’emblema della famiglia committente, com’era consuetudine in quel tempo.
                                                                                                              Andrea de rossi




sabato 24 gennaio 2015

COLONNA DI S.MARCO IN PIAZZA MADERNO



E' il segno della dominazione veneta che, dal 1426 proseguì per ben 371 anni fino al 1797.
Sul basamento che sostiene l'agile colonna, nel lato verso il lago, si osservano in bassorilievo le figure di due Santi:: S.Andrea e S.Ercolano. Il primo è patrono di Maderno ed il secondo dell'intera Riviera del Garda.
Come avvenuto in altri paesi vicini, anch’essi dominati dalla Serenissima, questo monumento con il simbolo di Venezia fu posto di fronte al Municipio (allora di Maderno) che aveva sede in Piazza.
Originariamente la colonna sorreggeva un leone alato in pietra con il libro recante la scritta: "PAX TIBI MARCE EVANGELISTS MEUS" ed i gradini erano cinque. Oggi ne rimangono solo tre: gli altri due sono stati coperti dal materiale steso per alzare il piano della piazza, dopo la disastrosa piena del lago avvenuta nel 1961.
Fino al 1937, data in cui fu costruito presso il Cimitero di Maderno il nuovo Monumento ai Caduti di Toscolano-Maderno, sulla colonna era posto un grosso medaglione sul quale erano incisi i nomi dei Caduti di Maderno. Rimangono evidenti i segni di tale operazione.
Un monumento del tutto simile a questo, ancora nella sua veste originale e ben conservato, si può ammirare al centro della piazza di Lonato, di fronte alla sede Municipale. Un altro esisteva a Salò nella Piazza dove si trova ora il Monumento ai Caduti, ma fu demolito completamente ed il suo basamento fu successivamente usato per sostenere la statua di S.Carlo, posta nell’omonima via di Salò.
Ritengo che l'unico particolare per il quale la colonna di Maderno si distingue dagli altri siano solo quelle due figure di Santi in bassorilievo poste sul lato a lago del basamento, che riproducono i patroni del paese.
La colonna fu eretta a conferma della fedeltà a Venezia per decisione del Consiglio Comunale di Maderno nella seduta del 16 agosto 1610. L'anno successivo fu dotata tutt’intorno di cinque gradini. Si conoscono molto bene anche i particolari del periodo in cui l'originale leone in pietra fu abbattuto e fu sostituito da quello attuale in bronzo, ben lontano nelle fattezze dall'originale.
L’episodio accadde alla fine del '700, quando i francesi invasero l'Italia; mentre alcuni monumenti della Serenissima furono completamente demoliti, a Maderno si limitarono al solo leone alato in pietra.
Infatti, un gruppo di militi scalò la colonna di cui si parla e s’impossessò del leone in pietra. Anziché distruggerlo, ritenne più originale caricarlo su una barca e portarlo al largo del golfo. Prima di lasciarlo cadere nella profondità del lago gli attaccarono una corda al collo con una grossa pietra. Un gesto certo inutile ma che aveva un preciso significato politico. La colonna rimase così orfana del suo leone per più di un secolo, quando partirono le prime iniziative per rimetterne uno nuovo. Nel 1896, in occasione della visita al suo amico G.Zanardelli, lo scultore e pittore siciliano Ettore Ximenes manifestò la volontà di offrire all'Amministrazione Comunale il leone tanto desiderato.
Passarono alcuni anni senza che il dono giungesse perciò nel 1901 l'Amministrazione Comunale decise di provvedere direttamente ad ordinarlo al Cav.Domenico Ghidoni (di Ospitaletto con studio a Milano) che scelse per il lavoro la pietra di Mazzano. Appena iniziata l'opera giunse la notizia che lo scultore Ximenes intendeva mantenere la promessa ma, anziché in pietra, il leone sarebbe stato in bronzo. Il motivo di questa scelta fu per evitare che facesse la stessa fine del primo che egli aveva già portato a termine, ma che durante il viaggio aveva avuto un'ala mutilata (così perlomeno affermò il donatore). Il 1° settembre 1902 giunse finalmente a Maderno la tanta attesa cassa contenente il dono. Ma, appena aperta, l'impressione fu veramente deludente per tutti. Il leone era di modeste dimensioni e, soprattutto,mancava il libro con la scritta latina, perciò nulla aveva a che vedere con il simbolo di Venezia.
Grande fu l'imbarazzo della Giunta Municipale, come si può capire fra le righe del verbale.
Si doveva o no accettare il dono di questo leone che nulla aveva della fierezza del simbolico emblema veneziano? Trattandosi di un omaggio che lo scultore intendeva offrire al Comune, tramite il Primo Ministro Zanardelli, come poteva l’Amministrazione non accettarlo senza mancare di rispetto allo statista?
Infine il riguardo nei confronti di Zanardelli ebbe la meglio ed il Consiglio Comunale, nella seduta del 13 novembre 1902, decise di accettarlo. Fu posto definitivamente sulla colonna il successivo mese di dicembre e vi si trova tuttora.
Nel 2006, in occasione della rimessa a nuovo della colonna, sono stati portati alla luce i due gradini in pietra che erano stati coperti, con materiale, per l’innalzamento del piano stradale causa la esondazione del lago del 1961.

                                                                                                                      Andrea De Rossi



          
                                                        La colonna sprovvista del leone (1900)