giovedì 22 agosto 2013

RICORDI DEL PASSATO: Il piedistallo della crocetta



Nel 1998 è stata decorosamente sistemata buona parte dell'interessante materiale archeologico che da tempo si trovava disseminato nel giardinetto prospiciente la Canonica di Maderno e che proveniva in gran parte dalla vicina Chiesa romanica. A questo è stato aggiunto altro materiale proveniente dai resti del castello di Maderno e dalla villa romana di Toscolano, recuperati in occasione dei vari scavi effettuati per la realizzazione della rete fognaria.
            Tra tutti i pezzi che oggi fanno bella mostra di sé‚ sul lato destro del giardino della Canonica, ci vogliamo occupare del "piedestallo della crocetta". così veniva citato,nelle vecchie mappe del secolo scorso e precedenti, quel troncone di colonna in pietra con scolpite una croce e la data del 1670, che oggi appare coricato. Un'ara romana, come afferma lo storico Guido Lonati nelle sue memorie su Maderno, che fu successivamente adibita dai Frati della Religione a reggicroce, come testimonia ancora il foro posto al centro del basamento. Recuperato probabilmente, con tanti altri pezzi, fra i resti della villa romana di Toscolano, fino agli inizi di questo secolo il piedistallo si trovava in fondo al Lungolago di Maderno, vicino al maestoso platano (il piantù), nella località che proprio da esso prese il nome "la crocetta".Questo era anche il nome dell'unica via che in quei tempi portava direttamente al lago attraverso la campagna partendo dal Borgo di Maderno, già località "Pozzo", attraverso l'attuale Via Vitali (dove si trova l'Asilo) e le vecchia strada di campagna del Cimitero (ora Via Foscolo) fino al lago.
            Ma chi aveva collocato in quel luogo il piedestallo e perchè? Si ritiene siano stati i Frati di Via Religione e precisamente, in considerazione della data scolpita (1670), i Frati AGOSTINIANI di S.Salvatore di Brescia, divenuti Canonici lateranensi di S.Afra, che rimasero sul posto fino al 1772. Questi ultimi erano succeduti alle monache di S.Croce in Venezia, mentre i Frati Domenicani, che per primi s’insediarono alla "Religione" fondando l'Abbazia domenicana, se n’erano andati già da quasi due secoli.
            Poiché il loro Monastero (Religione) si trovava molto vicino e collegato al luogo in questione grazie ad un antico guado sul torrente Toscolano, si può pensare che la colonna fosse stata collocata dai Frati come meta delle loro processioni, per servire come reggicroce.
            E' interessante osservare come la croce e la data siano stati scolpiti sulla colonna capovolta, con la base rivolta verso l'alto. Per quale motivo? Molto probabilmente per la medesima ragione per cui alcuni bassorilievi d’origine pagana furono murati capovolti nell'edificazione della Chiesa romanica, e cioè per sottolineare il disprezzo per la loro origine.
            In occasione della recente sistemazione si pose dunque il problema di come collocare il pezzo. Con la base rivolta verso il basso, come richiedeva l'origine della colonna romana, oppure capovolto com’era usato dai Frati?
            Per rispettare e ricordare la sua storia ed il suo duplice utilizzo nel corso di quasi duemila anni, è stato deciso di collocarlo in posizione orizzontale e ciò grazie alla competenza e all'interessamento del Prof.Roberto Bottoli.
            Vorrei azzardare un’ipotesi che ritengo collegata al suddetto piedestallo della crocetta. Sulla muraglia della casa sita all'angolo di Via Cavour con Via Sacerdoti (località orologio) contrassegnata dal civico numero 8-10 si osservano incastrate diverse pietre bugnate che si presume siano di provenienza del castello di Maderno per la loro particolare conformazione. In una di queste vi è scolpita una croce simile a quella del piedestallo sopra descritto che si trova nel giardino della canonica.
            Non potrebbe essere stata incisa anch'essa dagli stessi Frati che avrebbero considerato questo luogo un altro punto di sosta o d’arrivo delle loro processioni? D'altra parte questa pietra con incisa la croce è poco distante dall'inizio della Via Crocetta, ora Via Vitali.
            A sostegno di quest’ipotesi ci sono anche le date. Infatti il castello, divenuto palazzo del Vicario durante la dominazione veneta, fu distrutto da un incendio il 25/8/1645 e da quell'epoca gli scheletri delle sue muraglie furono prelevati da chiunque ed in buona parte disseminati nel paese per essere usati a rinforzare o completare alcune case.
            Solo 25 anni quindi separano la data del 1670, incisa nel piedestallo della crocetta, con quella dell'inizio del disfacimento del castello e questo ci fa presumere che l’ipotesi sopra descritta possa anche corrispondere alla realtà.

                                                                                                        Andrea De Rossi
           

mercoledì 21 agosto 2013

CROCE SUL MONTE CASTELLO DI TOSCOLANO



Il gruppo “Amici del Monte Pizzocolo”, nel 1968 ,costruì una gran croce di legno, che fu successivamente trasportata fino a Navazzo di Gargnano ai piedi del Monte Castello e da lì trasportata a spalle sulla cima del monte (mt.870).
            Successivamente un fulmine la distrusse ed il gruppo, al quale si aggiunsero altri volonterosi, non si perse d’animo e decise di costruirne un’altra più grande e più resistente agli attacchi della natura. Una volta predisposta, si provvide prima ad allestire sulla cima della montagna un idoneo basamento in cemento. Poi si presentò la difficoltà di portarla a spalle in vetta dato il suo peso. Anche questa fu risolta pensando all’intervento di un elicottero. Restava ancora il problema della spesa. L’AVIS, il Gruppo Alpini e l’AIDO di Toscolano-Maderno hanno dato un valido aiuto economico alla realizzazione di quest’iniziativa. Anche i privati cittadini contribuirono con offerte  volontarie in occasione dell’esposizione della croce a Toscolano, Gaino e Maderno.
             Il 26 aprile 1998 la croce fu benedetta dal Curato di Maderno Don Gianfranco Caldana.
          Finalmente il 2 maggio 1998 è il giorno stabilito per il suo trasporto sulla vetta. La nuova croce è posta in mezzo all’ex campo ippico di Maderno. L’elicottero la solleva e si dirige verso il monte Castello. Giunto vicino alla vetta la trova coperta da dense nubi e deve momentaneamente rinunciare all’operazione. Scende in un prato vicino nell’attesa di schiarite. Improvvisamente il cielo s’apre e subito l’elicottero riparte e giunge sul punto prestabilito, dove sostavano da tempo altri amici, e in breve  riesce a far entrare la croce sul basamento appositamente predisposto con l’esultanza di tutti i presenti.

                                                                                                       Andrea De Rossi

DESCRIZIONE CHIESA ROMANICA DI MADERNO











            L’epoca della sua costruzione è incerta. Si presume che fu innalzata fra l’8° ed il 12° secolo. Come incerta è la sua origine. Infatti, alcuni studiosi affermano che fu edificata sulle fondamenta di un tempio pagano, dedicato ad Apollo, dio della bellezza, che fu poi adattato al culto cristiano dopo il 415 d.C. in seguito ai Decreti dell’Imperatore Onorio che stabilivano l’eliminazione dei tempi pagani. Questo era dedicato ad Apollo, dio della bellezza, Invece il Geom. Sergio Trentini, in una sua pubblicazione, sostiene che, in seguito ad un fortissimo terremoto verificatosi nel 1117 che aveva lesionato l’edificio, si rese necessaria la sua ricostruzione usufruendo del materiale di recupero ricavato dalle rovine e completandolo con altro proveniente da cave locali (Seasso) ed anche dal Veneto. Inoltre furono usati anche materiali provenienti dalla villa romana di Toscolano che si trovava in stato d’abbandono.
            Iniziamo l’esame di quest’importante edificio dalla:

Facciata esterna verso la piazza

Il portale  - Interessante il portale d’ingresso costituito da sei ordini di pilastrini e colonnette di varie qualità con bassorilievi raffiguranti animali, mostri e disegni geometrici. Nel semicerchio sopra l’architrave si notano tracce di un antico dipinto venuto alla luce durante i lavori svolti dalla Sovrintendenza negli anni sessanta.
I capitelli – Sono Corinzi e ricavati da pietre locali. Quello alto, a sinistra, sostiene un’urna di marmo rosso di Verona con tre teste in bassorilievo Su quello di destra è posto invece un blocco di pietra a forma cilindrica.
Altre lapidi e pietre lavorate – Le falde della copertura sono incorniciate da numerosi archetti riproducenti volti umani e d’animali. Al centro si nota una sirena biforcata. Le lapidi ed alcuni bassorilievi sono stati inseriti capovolti, pare volutamente,  per un affronto al culto pagano al quale prima era dedicato il tempio. Sulla pietra che si trova in alto all’angolo di sinistra vi è scolpita una biga alla quale sono soggiogati due destrieri guidati da Fetonte, figlio d’Apollo, il quale volle guidare il carro solare del padre la cui inesperienza gli fu fatale, in quanto precipitò sulla terra nel fiume Eridano (il Po). Sotto si trova una lapide sulla quale è incisa una dicitura latina a lettere romane. Si tratta di un’iscrizione funeraria per Pubblius Eppius Rufus appartenente alla seconda coorte pretoria della Tribù Fabia, una delle trentasei nelle quali era diviso il popolo romano e precisamente quella di Brixia.
Sempre sullo stesso lato, ma verso la piazza, troviamo scolpiti due bucrani (motivo ornamentale dell’età antica che riproduce crani di bue).
Infine, sul lato destro, sul muro verso il cortile, si può ammirare un bassorilievo che riproduce parte di un vessillario romano troncato sia in alto che in basso.

Il campanile

            Fu edificato successivamente alla chiesa e precisamente nel 1469. E’ sormontato da una cuspide con pinnacolo ghibellino. In alto si notano due bassorilievi rappresentanti un Vescovo, certamente S.Ercolano, e S.Andrea il patrono di Maderno. Nell’interno del campanile le due campane sono state chiamate rispettivamente Adriana e Herculiana.

Interno della Basilica

            Esaminando attentamente le pareti e gli archi, si notano i numerosi interventi avvenuti nel corso dei secoli. Sulla parete interna destra della facciata si vede un affresco riproducente S.Nicola, datato 1499. Prima dei lavori effettuati dalla Sovrintendenza nel 1960, intesi a dare alla chiesa la primitiva immagine, sulla parte destra è stata abolita una cappella – che era stata costruita successivamente – ed era dedicata al SS.Sacramento. Il primo altare che si trova sulla destra è dedicato a S.Lorenzo (anticamente a S.Carlo) mentre la pala appartiene a Andrea Bertanza. Sul lato sinistro di questa cappella si trova una pala che raffigura S.Filippo Neri, S.Carlo Borromeo, S.Gaetano da Thiene e S.Giuseppe, opera del pittore bresciano Antonio Paglia.
 Il secondo altare, fino al 1825, era dedicato a S.Ercolano e ospitava le sue spoglie e la pala del Veronese. Era stato trasportato qui nel 1588 dopo che il Card. Carlo Borromeo aveva ordinato la chiusura della cripta che originariamente ne custodiva  i resti dentro un sarcofago. Nel 1825 il Santo, con una solenne cerimonia, fu traslato nella nuova chiesa parrocchiale e quest’altare fu intitolato a S.Francesco d’Assisi. La pala  risalente al Seicento,ora esistente, riproduce S.Francesco (a sinistra) e S.Ercolano.
            A sinistra dell’ingresso, su una lesena ,è affrescata una figura di Santa con un rametto in una mano ed un piattino nell’altra. La tradizione popolare la identifica con S.Apollonia. Nel primo rientro si trova un quadro riproducente S.Francesco. Nell’altare successivo dedicato a S,Caterina e S.Bernardino si può ammirare un antico affresco del Quattrocento riproducente il Redentore che esce dal sarcofago.. Nel secondo altare, un tempo dedicato alla Madonna, ed ora consacrato al S.Rosario,si osserva una statua in legno della Vergine. Attorno ad essa vi sono quindici pannelli illustranti la vita del Redentore. La pietra di marmo rosso di Verona che sta davanti all’altare apparteneva originariamente al sarcofago in cui si trovavano le spoglie della pagana Cassia Festa (moglie di Minicio Marco) e dove fu posto, successivamente, S.Ercolano. Le immagini e le diciture originarie furono tolte per ordine del Card.Borromeo. In loro sostituzione fu posta l’attuale descrizione in latino, la cui traduzione in italiano, posta in un quadretto al fianco sinistro dell’altare, è la seguente:
   
            SAN ERCOLANO, di nazione teutonica, nato da genitori illustri e cristiani, fu insigne per aspetto, ingegno, eloquenza e mansuetudine.
            Nemico della ricchezza e amico dei poveri lasciò la patria e i genitori per servire Dio. Vide Cristo con gli Apostoli sotto forma di poveri, e mentre portava loro in grembo dei pani, questi furono cambiati in pietre preziose.
            Esercitò l’ufficio di abate in un monastero della città di Brescia; con le sue preghiere restituì la vita a due morti. Sotto l’Imperatore Giustiniano, nell’anno del Signore 552 fu eletto vescovo di Brescia; per 24 anni resse la chiesa e il popolo con ammirabile pietà. Preservò dalle tentazioni del demonio un diacono, venuto a lui da Bisanzio per avviso di un angelo.
            Trascorse in seguito una vita solitaria nella penisola di Campione sul lago di Garda.
            Alla sua voce ubbidivano gli uccelli, i pesci e gli animali terrestri. Vide gli angeli che gli portavano un cibo dal cielo.
            Qui infine morì nell’anno del Signore 576.
            Siccome i popoli si contendevano nel reclamare a vicenda il suo corpo, col consenso di tutti fu posto in una barca senza alcun conducente.
            Per volere divino la barca approdò a Maderno. Il suo corpo fu portato dai madernesi nella loro chiesa dedicata a S. Andrea Apostolo; collocato in una tomba di pietra, divenne famoso per molti e insigni miracoli.
            Mentre con solenne processione si riportava a Maderno il corpo che era stato rubato, il corso del fiume (Toscolano) si fermò finché tutti fossero passati.
            Guarì molti ammalati e fece tanti altri miracoli. Le sacre reliquie, per ordine ed alla presenza del Card. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano e Legato Apostolico, il 13 agosto 1580 furono tolte dalla cripta dov’era conservata la tomba e portate in processione, presenti più di quattromila persone.
            In seguito furono collocate nell’altare qui di fronte.
            Questa epigrafe fu restaurata nel 1625 dal Rev.Andrea Pasini.
Aggiunta all’epigrafe
            Il 25 ottobre 1825 le reliquie di S.Ercolano furono solennemente trasportate nella nuova chiesa parrocchiale e depositate in un’apposita urna sopra l’altare a lei dedicato.

L’altare maggiore e la cripta
Dopo i lavori effettuati negli anni sessanta dalla Sovrintendenza, l’altare principale è stato leggermente sopraelevato in quanto sotto  è nata l’antica cripta nella quale, anticamente, i pagani si recavano per sentire i responsi dell’oracolo di Apollo.
            In questa cripta furono custodite, dentro un sarcofago, le spoglie di S.Ercolano. In precedenza questo sarcofago conteneva i resti di Cassia Festa, moglie di Minicio Marco, probabile proprietario della villa romana di Toscolano. L’esterno di questo sarcofago era scolpito con scene mitologiche di origine pagana che furono tolte per ordine del Cardinal Carlo Borromeo durante la sua visita del 1580. Anche la cripta fu chiusa mentre la pietra di marmo rosso che si trovava sulla tomba fu trasferita all’altare della Madonna con l’attuale iscrizione in latino che ricorda la vita e le opere di S.Ercolano. In fondo alla cripta si  può osservare una finestrella che permetteva ai Gonzaga di partecipare alle cerimonie religiose senza essere visti dal popolo. Giungevano a tale finestrella attraverso un corridoio sotterraneo, appositamente costruito e collegato con il loro palazzo.
            Nella ricostruzione, l’altare maggiore è  rivolto verso i fedeli. Davanti ed a sostegno dello stesso è stata posta un’antica e preziosa pietra lavorata (pluteo) dell’8° o 9° secolo che si trovava murata sotto il porticato esterno della canonica.
                Sullo stesso piano dove si trova l’altare, a destra vi è un quadro raffigurante S.Giovanni, attribuibile ad Andrea Bertanza mentre quello di sinistra invece è opera di Andrea Michieli detto Vicentino (Vicenza 1544-1619) .


                                                                                                                                               Andrea De Rossi

CAMPIGLIO (Campei) DI CIMA SUI MONTI DI TOSCOLANO





La località Campiglio di Cima, in dialetto chiamato "Campei de sima", deriva dal nome di piccoli campi che nel XVI° secolo venivano coltivati ad orzo, segala e patate. La località si trova sui monti di Toscolano a 1025 metri d’altezza, e si può raggiungere partendo da Gaino seguendo la via delle Camerate per Persegno. Poco oltre questa località si trova un bivio chiamato localmente “le vie che spart”. Da qui, a piedi, si prende la strada a destra e in un’ora e mezzo circa, passando prima per Campiglio di fondo e Campiglio di mezzo, si giunge a Campiglio di Cima, bellissima località circondata da imponenti faggi e frassini.
     Originariamente appartenne alla famiglia Andreoli, mandriani di Armo (uno dei sei piccoli comuni della Valvestino) che nel XVI° secolo si trasferirono sul Monte Gargnano nella frazione di S.Maria di Navazzo  dove iniziarono le loro molteplici attività prima con l'allevamento del bestiame, poi con lo smercio dei prodotti del caseificio. I guadagni ed i risparmi li impiegarono in acquisti di pascoli e boschi tra cui i Ronchi, Cessamale, le Folgherie, gli Albaredi, Montepiano, Maernì, le Luvere, la Selva oscura, le costiere e le pendici settentrionali del Forzòlo e, naturalmente, Campiglio di Sopra o di cima.
     Fu in quest'ultima località che crearono la malga  costruendo alcune case e una piccola cappella dedicata a S.Maria della neve.
     Divenuta numerosa e facoltosa, la famiglia Andreoli si spostò a Toscolano costruendo la casa "Fossati", e acquistando altri poderi. Passati poi nel campo dell'industria cartaria con la realizzazione della cartiera di "Maina" (cioè quella  passata successivamente ai Maffizzoli)  fu abile ed intraprendente al punto da commercializzare il loro prodotto perfino a Costantinopoli.
     Donato Fossati (storico locale) che ci ha tramandato queste notizie della famiglia Andreoli,  discese appunto da loro per ramo femminile.
     Gli Andreoli furono sepolti, com'era abitudine in quel tempo per gli appartenenti alle grandi famiglie, nella Chiesa di S.Maria del Benaco a Toscolano.
     L'Azienda delle Foreste, attuale proprietaria dei fabbricati e dei terreni circostanti ha dato inizio al loro recupero tramite l'opera volontaria degli alpini della "Montesuello" dei tre edifici è stato ristrutturato grazie appunto all'opera degli alpini. Successivamente anche gli altri due furono completamente sistemati. Il fabbricato principale, composto di tre piani, è stato dedicato al Battaglione Alpino VALCHIESE. In esso sono state ricavate ampie sale da pranzo ed alcune salette, nonché la cucina ed una zona notte. Al Battaglione Alpino VESTONE è dedicato l’altro fabbricato dove sono installate camerate di tipo militare con letti a castello nonché alcuni locali che saranno a disposizione dell’Azienda Regionale delle Foreste. Infine al Battaglione Alpino MONTESUELLO è stata dedicata l’antica “casera” che per tutto l’anno funzionerà da bivacco. In tutto sono stati ricavati circa cinquanta posti letti
 E’ stata anche predisposta una piazzola per l'atterraggio di un elicottero in caso d’operazioni per lo spegnimento degli incendi.
     Anche la piccola chiesetta che nel corso degli anni, per incuria e per le intemperie, si era ridotta ad un cumulo di macerie, è stata – sempre a cura degli stessi alpini – ricostruita prendendo così la sua fisionomia precedente.Al posto dei due dipinti originari, l’artista Angiolino Aime, ha predisposto un bassorilievo che rappresenta la figura della Madonna con ai piedi S.Gaetano che richiama appunto il contenuto dei dipinti scomparsi.
     La Regione ha finanziato la fornitura del materiale edilizio per circa 400 milioni.
     Tutto il complesso, completamente ristrutturato dagli Alpini è stato inaugurato Domenica 1° ottobre 2000 alla presenza d’Autorità Civili,Militari e Religiose e numerosi simpatizzanti. In rappresentanza degli Alpini protagonisti di questa grande opera era presente il Presidente Nazionale degli stessi Giuseppe Parazzini.
     Ora il rifugio sarà aperto a chiunque con criteri d’ospitalità e disponibilità secondo le regole degli alpini.
     Il gruppo alpini della “Montesuello” gestirà questi edifici  per venticinque anni.


                                Andrea De Rossi

BACHI DA SETA E PIANTE DI GELSO















Fino ai primi decenni del secolo scorso nei campi oltre agli olivi e alla la vite erano coltivati pure i gelsi che si potevano trovare anche sul suolo pubblico.
            Dall’archivio com.le di Maderno risulta, infatti, che la raccolta delle foglie dei tre grandi gelsi che si trovavano in Piazza, di quelli vicino alla chiesa Parrocchiale, del “Rivellino” e del “Crocefisso” (quest’ultimi sul lungolago), era data in appalto.
            E' noto che le foglie di quest’albero servivano ad alimentare le larve dei bachi da seta che erano allevati da numerose famiglie contadine per incrementare le loro scarse disponibilità economiche.
            Si trattava di un lavoro che richiedeva sacrificio, non solo per gli uomini ma anche per le donne, perché l’allevamento dei bachi da seta avveniva in casa, in ambienti caldi  dove esisteva una stufa a legna od il focolare, nella maggior parte dei casi corrispondeva alla cucina.
            Gli uomini erano impegnati continuamente alla raccolta delle foglie di gelso per stare al passo con la voracità dei bruchi. Quando poi le foglie erano bagnate, prima di darle in pasto ai bachi, dovevano essere adeguatamente asciugate per evitare che questi animali fossero attaccati da una particolare malattia, il calcino, dovuto ad un fungo parassita.
            Dopo aver acquistato le uova (che erano vendute ad once) bisognava tenerle in luoghi caldi per far nascere la larva ed in seguito deporle sugli “arèi”. Appena nate dovevano essere nutrite con foglie di gelso triturate, poi quando erano un po’cresciute, con foglie intere. Mangiavano per otto giorni consecutivi e poi dormivano per 24 ore. In questo periodo, chiamato “la prima muta”, i bachi cambiavano la “camicia”, cioè si spogliavano della prima pelle, come fanno i serpenti. Dopo il risveglio della “prima muta” dovevano essere nutriti ancora per otto giorni e, al termine, andavano nella “seconda muta” e così per quattro volte consecutive. Quando i bruchi diventavano gialli e dalla loro bocca fuoriusciva il filo di seta, si dovevano mettere “al bosco”. Si trattava di mettere sugli “arèi” dei rami o delle fascine di legna minuta per dar loro la possibilità di iniziare a costruire la “galèta”, vale a dire il bozzolo dal quale si ricavava la seta. Nel bozzolo, la larva subisce la metamorfosi in crisalide e poi in quella d’insetto perfetto (la farfalla). I bozzoli erano poi staccati dai rami e pronti per la vendita.
            Parte dei bozzoli era destinato alla produzione della seta, mentre l’altra parte serviva per la semenza. Quest’ultimi erano pesati per dividere il maschio dalla femmina (le femmine erano più leggere dei maschi). Una volta bucato il bozzolo, dallo stesso usciva  il bruco trasformato in “farfalla” che si accoppiava. La femmina, rinchiusa in un sacchetto, vi deponeva le uova e si trasformava poi in “bigàcc” che era dato in pasto agli animali da cortile. L’anno successivo le uova deposte si trasformavano in bachi ed il processo ricominciava da capo.
            A Maderno, nell’attuale Via Montana, esisteva un luogo chiamato ancora adesso “ il galetèr” dove si raccoglievano i bozzoli prodotti localmente che erano poi inviati nei centri appositi per ricavarne la seta, mentre in Via Aquilani dove ora si trova l’Albergo Golfo, dopo la metà dell’800, Erculiano Veronese installò un importante filatoio di “galete” con 16 fornelli e 37 dipendenti. L’attività di questo filatoio cessò verso la fine dell’800 quando lo stabile fu acquistato dal Generale Lamberti di Castelletto per adibirlo a sua residenza, dopo aver fatto notevoli modifiche ed aggiunte.
            Questo è ciò che accadeva fin verso la metà del secolo scorso, gli ultimi anni in cui furono allevati i bachi da seta, Prima ancora, però, nella case erano molto diffusi i fornelli per filare le galète e produrre la prima seta grezza che, per antica tradizione, era venduta alla Fiera di S.Pietro a Toscolano il 29 giugno. In quel tempo esistevano in diversi filatoi, posti in ambienti tutt’altro che confortevoli, che assorbivano giovane manodopera femminile.
                                                                                                                          Andrea De Rossi

BIBLIOGRAFIA: Periodico gargnanese “En Piasa”- Inverno 1999

martedì 20 agosto 2013

ISABELLA D'ESTE OSPITE A TOSCOLANO



Donato Fossati nella sua interessante opera “Benacum – Storia di Toscolano” accenna brevemente che un suo antenato, Don Francesco De o Di Fossato, Arciprete di Toscolano, verso la fine del 1400 ospitò nella canonica e precisamente nei giorni 18 e 19 marzo 1490 la marchesa di Mantova Isabella d’Este  in Gonzaga e la cognata Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino moglie di Guidobaldo da Montefeltro, accompagnate da un numeroso seguito.
            Questo luogo fu citato da Marin Sanuto, storico veneziano del XV secolo nel suo “Itinerario per la terraferma veneziana del 1483” con la seguenti parole: “et un Prete Francesco di Fossato à una casa bellissima et soave di zedri et granati, giardini molto excelenti”. Nel 1599 anche Bongiani Gratarolo nella “Storia della Riviera di Salò” descriveva così l’attuale canonica di Toscolano dove, nel 1490, fu ospite Isabella d’Este: “Appresso detta chiesa,(di Toscolano) vi è un palagio molto commodo di stanze, il quale perché fu fabbricato da un Vescovo di Brescia, è sempre stato posseduto dai suoi successori, si dice il Vescovato”.
            Nella storia dei Gonzaga ho trovato numerosi  particolari di questa gita sul lago.
            Isabella, figlia di Ercole d’Este duca di Ferrara, fu la più grande donna del Rinascimento italiano. Non era una donna bellissima, come dicevano i cortigiani, ma con una intelligenza prestigiosa  e che si distingueva in tutti i campi: nell’arte, nella musica e nella danza.
            Il suo ritratto originale, qui riprodotto,dipinto da Leonardo da Vinci, si trova al Museo Louvre di Parigi.
            Il 12 febbraio 1490, a soli sedici anni, sposa il marchese di Mantova Francesco Gonzaga. In quel tempo Francesco Gonzaga era al servizio della Repubblica di Venezia per cui, trascorsi pochi giorni di luna di miele con Isabella, si distolse ben presto per dedicarsi ai suoi incarichi ed in particolare agli esercizi venatori.
            Verso i primi di marzo dello steso anno, prima di lasciare per l’ennesima volta la propria sposa, consigliò alla stessa, per distrazione, una gita, che in quel tempo rappresentava un grande viaggio, sulla Riviera del Garda che era considerata un vero paradiso. Il consiglio del marito lo accettò subito e, con il suo spiccato senso organizzativo, mandò immediatamente sul posto un suo agente, Alessandro di Tommaso, perché predisponesse per gli alloggi e le altre necessità della piccola comitiva, ma che in realtà raggiungeva quasi un centinaio di persone. Era un sogno che Isabella voleva che ad ogni costo si avverasse. Dovendosi recare in territorio di pertinenza della Serenissima, Isabella informò del suo progetto le autorità venete di Verona pregandole di impartire le necessarie disposizioni affinchè a Sirmione fossero disponibili le necessarie imbarcazioni nonchédi interessarsi presso l’Arciprete di “Santa Maria di Benaco” di Toscolano affinchè venisse accolta nella sua casa assieme alla cognata e si disponessero alloggi, per il loro seguito, nelle immediate vicinanze.
            Il 18 marzo 1490 la marchesa Isabella ,con tutto il suo seguito partì da Goito e raggiunse prima Desenzano, dove finalmente potè ammirare il  lago. Dopo il pranzo si trasferì a Toscolano, ospite dell’Arciprete e qui passò la notte. Il giorno successivo, con le imbarcazioni messe a disposizione dalle autorità venete, tutta la comitiva raggiunse Sirmione e, successivamente, a mezzo di cavalli ritornarono nel castello di Goito e poi a Mantova.
            Isabella conservò un ricordo tanto bello di questa gita sul lago che nel settembre dello stesso anno ritornò, ed in particolare di quel buon pesce che gli fu offerto dall’Arciprete di Toscolano. In ogni posto ove la marchesa si fermò, non ripartì mai senza l’offerta, da parte degli ospitanti, di doni come agrumi e pesci.

                                                                                                         Andrea De rossi


ANTICHE SCULTURE NELLA CHIESA ROMANICA DI MADERNO



Numerose sono le sculture custodite nella chiesa romanica di S.Andrea a Maderno, il gioiello d’arte più importante della riviera occidentale del Garda, la quale, purtroppo, è uno degli edifici del culto locale maggiormente danneggiato dal violento terremoto dello scorso 24 novembre.
           .
            Ne citiamo alcune che tutti possono ammirare:
-         iscrizione funeraria murata sul lato sinistro esterno, angolo Via Benamati, la quale è dedicata alla memoria di un Comandante della Tribù Fabia, una delle trentasei nelle quali era diviso il popolo romano e precisamente quella di Brixia di cui i  benacensi facevano parte;
-         sempre nello stesso angolo vi è scolpita una biga alla quale sono aggiogati due destrieri guidati da Fetonte, figlio di Apollo che, secondo la mitologia, volle guidare il carro solare del padre, ma a causa della sua inesperienza precipitò poi nel fiume Po;
-         un vessillario romano, troncato sia in alto che in basso, posto sul lato destro della Basilica, poco dietro la fontanella;
-         il sarcofago della pagana Cassia Festa, moglie di Quinto Minicio Macro parente con i Nonii-Arrii che risiedevano nella villa romana di Toscolano. In questo sarcofago, che ora funge da altare della Madonna, furono poste le ceneri di S.Ercolano dopo che nel 1580 il Cardinale Carlo Borromeo fece togliere le figure pagane esistenti, sostituendole con un’altra epigrafe dettata dal Vicario di Maderno.
 Fu appunto nel 1580 che il Cardinale Carlo Borromeo, in visita apostolica sulla riviera del Garda, fece chiudere la cripta esistente in quanto in quel tempo S.Ercolano era venerato in questo luogo dove un tempo i pagani si rivolgevano all’oracolo di Apollo per ottenere i responsi, così come avveniva a Delfi  nel VII secolo a.C. grande centro religioso e sede del più famoso oracolo (Apollo) dell’antica Grecia e quindi non era compatibile con la religione cattolica. Un ricordo di questa cripta può essere ammirato all’esterno della Basilica. Si tratta di un prezioso capitello posto sul vertice esterno del tetto verso la piazza sul quale era inserita una croce di ferro staccatasi a causa della violenza del recente terremoto e, successivamente, recuperata dai Vigili del Fuoco il 2 dicembre scorso in occasione dell’accertamento dei danni subiti dalla chiesa stessa.
In occasione dei lavori di restauro alla Basilica, avvenuti nel 1962, da parte della Sovrintendenza alle Belle Arti fu rimessa alla luce la cripta fatta chiudere circa 400 anni prima dal Cardinal Borromeo. Di conseguenza fu elevato il pavimento del presbiterio sul quale è stato posto un nuovo altare rivolto al pubblico. Davanti a quest’altare rivolto ai fedeli, con una felice intuizione e buon gusto, è stata messa un’antica pietra lavorata che da tempo immemorabile si trovava murata nel cortile della canonica e che è così andata ad aggiungersi alle altre sculture esistenti nella Basilica. L’importanza artistica e storica di questa preziosa pietra è rilevata da Gaetano Panazza, noto cultore bresciano di storia ed arte antica, nel volume del 1960 “Sculture preromaniche e romaniche della riviera occidentale del Garda” dando la seguente descrizione della pietra in questione quando ancora si trovava murata nel cortile della canonica:
Nel cortile della canonica, posta a fianco della chiesa romanica di S.Andrea (sec.XII) è murato un pluteo rettangolare in marmo rosato di Verona molto consunto per essere stato adoperato per lungo tempo come lastra di pavimento.
      In alto corre una fascia a intrecci viminei formata da due nastri doppi di tre cordonature ciascuno, ondulati e intrecciati, di modo che il motivo si conclude, alle estremità, con una semielisse agli angoli.
      Sotto questo motivo vi è un nastro che recinge il riquadro rettangolare inferiore; da quello di contorno nascono i due nastri formanti otto riquadri disposti su due ordini di quattro ciascuno.    I quadrati sono collegati uno all’altro dall’intreccio dei due nastri alla metà dei lati di ogni riquadro; nel loro interno campiscono due colombe che beccano un grappolo d’uva, tre nodi gordiani, due foglie polilobate e due foglie di forma triangolare.            Il pluteo misura m.0,81 x 1,008; probabilmente è del sec.VIII-IX e ricorda quello del Museo Civico di Como e quello del Museo di Cividale proveniente dal Battistero.”

                                                 Andrea De Rossi